
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il caso di Sanaa Dafani sta suscitando meno allarme, indignazione e dolore di quello capitato tre anni fa a Hina, ammazzata dal padre e da due fratelli in giardino perché colpevole di voler vivere all’occidentale.
• Ad ammazzare Sanaa è stato poi il padre?
Ieri sera ha cominciato ad ammettere qualcosa. Si sta cercando il coltello, buttato via dall’assassino e molto difficile da trovare nel fitto sottobosco.
• Come è avvenuto il delitto?
Questa ragazza di 18 anni, Sanaa Dafani, lavorava da qualche mese come cameriera nel ristorante Spia di Montereale Valcellina in provincia di Pordenone. Il socio del locale è un uomo di 31 anni, libero da legami sentimentali per quanto risulta fino a questo momento, di nome Massimo De Biasio. Massimo e Sanaa, vedendosi ogni giorno alla Spia, a un certo punto si mettono insieme, da tre mesi addirittura lei vive a casa sua. Il padre, El Katawi Dafani, 45 anni, marocchino, aiuto cuoco a Pordenone, non è assolutamente d’accordo. Le amiche di Sanaa hanno raccontato che c’erano già state minacce e scenate del padre sia a lui che a lei. In base ai loro racconti, la questione principale era che De Biasio era cattolico, mentre Sanaa – secondo il genitore – doveva sposare un musulmano, restare musulmana e crescere figli musulmani. Il colmo, dal suo punto di vista, è stato raggiunto quando lei è andata a vivere da lui. Dobbiamo tener presente che nel mondo islamico si viene considerati maggiorenni solo a vent’anni e che la fornicazione prima del matrimonio è un peccato grave. Si chiama ”zina”, è punita con 80 frustate dalla sharia e con la lapidazione dalla sunna.
• Quindi il padre si sentiva legittimato in partenza a fare quello che ha fatto?
Non lo dica, perché una nostra Corte d’Appello (a Bologna) e poi addirittura la nostra Cassazione, in una sentenza mostruosa di un paio d’anni fa, hanno considerato innocenti padre, madre e fratello che avevano tenuto sequestrata dentro casa una ragazza maghrebina per non esporla alle tentazioni dell’Occidente. I giudici italiani hanno assolto i tre perché hanno tenuto conto della cornice culturale in cui è maturato il loro comportamento. Allo stesso modo, considererei aberrante attenuare la colpa di Katawi, se è lui l’assassino, perché musulmano e marocchino e dunque cresciuto in quel tipo di pensiero. Come ha capito, siamo nel pieno del problema dell’integrazione: queste persone, che ritengono inevitabile trattare le loro donne nel modo in cui le trattano, devono una volta giunte qui far lo sforzo di rinunciare al loro modo di pensare e accogliere il nostro sistema o no? Lo dico sapendo, naturalmente, che anche da noi ci sono uomini che ammazzano donne e padri che sopprimono le figlie.
• Mi stava raccontando del delitto?
Sì. L’altra sera, verso le sette, Massimo ha accompagnato Sanaa al lavoro, stavano su una stradina della frazione di Grizzo a bordo dell’Audi A 4 di lui quando gli si è parato davanti il padre. Secondo quello che s’è capito fino a questo momento, Massimo è sceso dall’auto e ha cominciato a litigare con Katawi, urlavano tutti e due, e Katawi a un certo punto ha tirato fuori il coltello. Sanaa che era scesa dall’auto pure lei è allora scappata verso il boschetto che costeggia la strada, Massimo ha tentato di impedire al padre di inseguirla e s’è preso un paio di coltellate all’addome e alle mani che l’hanno messo fuori gioco. Katawi ha poi raggiunto la ragazza nel boschetto e ha preso a colpirla, con questo coltello che aveva in pugno, finché all’ultimo le ha tagliato la gola. Ha avuto ancora il tempo di tornare a casa e di cambiarsi, liberandosi di pantaloni e camicia sporchi di sangue. Questa – glielo ribadisco – è la sequenza a cui credono i carabinieri anche sulla base delle testimonianze. Ci vogliono ancora, però, parecchi riscontri.
• Come possiamo sapere che il delitto è un prodotto del pregiudizio islamico?
Ci sono i racconti delle amiche di Sanaa e c’è il precedente di Hina, la ragazza pakistana ammazzata in una vera esecuzione capitale dal padre e dai due fratelli. Il padre, che si chiama Muhammad Saleem, al momento dell’arresto disse: «Non volevo che diventasse come le ragazze di qui. Le avevo chiesto di cambiare vita, ma lei non voleva». Di recente s’è dichiarato pentito di quello che ha fatto. Anche il comportamento della madre, quella volta, risultò contradditorio, confermando che c’era un atteggiamento di condanna complessivo della famiglia. Pare che il padre avesse anche molestato la figlia. stato condannato a 30 anni. Lui dice che con un italiano i giudici sarebbero stati più clementi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/9/2009]
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