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 2009  settembre 17 Giovedì calendario

IL DOLORE DELLA MADRE: «HA UCCISO SANAA, MI HA TRADITO»


«Voglio mia figlia. Voglio mia figlia. Mi ha tradito. Ha ucciso la mia cara. Ha ucciso Sanaa». Continua a piangere Fatna El Kataoui. Il marito ha ucciso la loro figlia più grande e lei non sa darsi pace. Singhiozza e si dispera a casa dell’imam di Pordenone, Mohamed Ouatiq, dove si trova dalla sera del delitto assieme alle due figlie più piccole. Anche la sorellina di Sanaa, la più grande che ha 7 anni, sa che è morta. Stava guardando la televisione, ha visto la foto della ragazza, l’ha riconosciuta ed è scoppiata a piangere come se non servissero parole per capire il dramma che ha per protagonista il suo papà. Fatna ieri mattina si è sentita male ed è stato necessario l’intervento di un’ambulanza del 118. Una visita al Pronto soccorso e poi la donna, 42 anni, è tornata a casa dell’imam. «Ho visto i giornali e le televisioni. Secondo loro quello che è accaduto ha a che fare con l’Islam. Ma non c’entra niente l’Islam - si sfoga l’imam -. Sono fatti personali come succede in qualsiasi società quando c’è una persona squilibrata che non ragiona e pensa a modo suo. El Kataoui non frequenta il centro islamico e non rispetta la religione. Una persona che non dialogava con la famiglia e nemmeno con la figlia». Ouatiq parla di alcol, di debiti, di diverbi con la figlia anche per questioni economiche dato che al padre sarebbero servite pure le buste paga della ragazza. Dipinge un uomo che ha ben poco del fanatico religioso tutto lavoro, casa e moschea. «Invece la moglie, Fatna, qualche volta veniva nel centro islamico. Mi diceva che il marito era aggressivo con la famiglia, che non c’era dialogo». Fatna non lo ha visto uscire con il coltello. «Pensava che la storia sarebbe finita a botte e con un litigio, ma non così».
E sono singhiozzi trattenuti con dignità e tanta forza anche quelli di Iside Alzetta, la mamma di Massimo De Biasio. La donna è gentile, anche se spesso le parole se ne vanno inseguendo l’onda dei ricordi e l’immagine più brutale. E parla di «un amore da favola. Sanaa chiamava Massimo sempre amore, mai per nome. Erano innamorati, bastava vederli assieme». Bastano le ferite: tagli profondi alle mani e alla braccia tanto da ledere i tendini. Massimo ha tentato di salvare la sua favola, ma non ce l’ha fatta. Ha tentato di riportare in vita Sanaa mettendole la sua maglietta attorno al collo, premendo la ferita. «Mio figlio aveva sentore di qualcosa, ma per non farci stare in pensiero non ci ha raccontato nulla. Scriva che è un ragazzo stupendo, che assieme erano stupendi». Un singhiozzo, piccolo, trattenuto dal desiderio di ricordare Sanaa. «Per me era, anzi è una figlia perché si è dimostrata tale. Era dolcissima. Sa, mentre le dico queste parole mio marito sta piangendo». Una pausa poi riprende a parlare. «La ragazza si era sbilanciata un po’, facendo capire di avere dei timori. Ma certamente non pensava che potesse accadere una cosa del genere. Nemmeno Massimo. Denuncia? Erano già stati a fare quello che dovevano fare. Sapevano che la ragazza era qui spontaneamente. Voleva bene ai suoi genitori». Ma il timore si era trasformato. «Ultimamente ho visto le sue paure di rimanere sola e per questo non la lasciavamo mai. Con lei c’era sempre qualcuno». Massimo conosceva i genitori di Sanaa. Aveva portato le sorelline della giovane a Lignano, all’Acquasplash e allo zoo. «Avevano trascorso una giornata bellissima e le due bambine era molto felici. La più grandicella aveva detto a Massimo ”magari fossi tu mio padre”».