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 2009  settembre 17 Giovedì calendario

OPERAI GI DALLA GRU A SPESE NOSTRE


Far scendere da una gru otto operai è costato centomila euro. Si è conclusa così la vicenda della Innse, azienda in liquidazione alla periferia est di Milano massacrata dalla crisi economica. Con un colpo di spugna da Cassa del Mezzogiorno, la Provincia di Milano (targata PdL-Lega) ha deciso di pagare di tasca propria per salvare dipendenti e imprenditori coinvolti nell’affare. Il tutto dopo circa un mese di estenuanti trattative e proteste spettacolari: oltre alla sceneggiata sulla gru, le tute blu qualche settimana fa erano arrivate a bloccare la tangenziale del capoluogo lombardo piantandosi in mezzo alla strada per ore.

A giochi fatti, gli stessi membri della giunta milanese condannano l’operazione, bollandola come assolutamente degna del peggior centrosinistra. Il presidente Guido Podestà arriva all’autoaccusa: «Anche noi abbiamo forti perplessità sulla validità di questo tipo di interventi, perché le situazioni di crisi non si possono affrontare tenendo in vita le imprese tagliate fuori dal mercato utilizzando risorse pubbliche. La Provincia ha dato un contributo di 100 mila euro, ma solo perché ci siamo trovati di fronte a una situazione particolare e perché il prefetto si era impegnato in prima persona per risolvere la questione». C’è anche una promessa: «Questa è stata un’anomalia: episodi del genere non si ripeteranno mai più».

L’annuncio di Podestà, però, si scontra con le aspirazioni dei sindacati. Il caso della Innse rappresenta già oggi un modello per tutte le aziende in crisi in Italia. I dipendenti della Metalli Preziosi di Paderno Dugnano, per dirne una, sono sul tetto del loro stabilimento già da due giorni. Anche loro attendono l’intervento delle istituzioni locali e trattano con i delegato del ministero dello Sviluppo Economico. Ovviamente, si aspettano di ricevere un trattamento identico a quello dei lavoratori salvati dalla Provincia. «La nostra esperienza ha fatto scuola per tutte le aziende in crisi nelle quali si vuole licenziare» profetizzava Luigi Esposito, uno dei cinque lavoratori saliti della gru della Innse. I fatti sembrano avergli dato ragione.

Per chi non ricordasse, Esposito e colleghi avevano cominciato la loro protesta all’inizio di agosto, poco dopo l’inizio delle operazioni di smantellamento della fabbrica. Si erano arrampicati su un carroponte minacciando il suicidio. Da allora il nome della Innse ha iniziato a comparire con costanza su tutti i quotidiani del Paese. Dopo otto giorni sulla torre, il vecchio proprietario, Silvano Genta, è riuscito a trovare un accordo con il gruppo bresciano Camozzi e l’azienda è stata venduta. I lavoratori sono scesi dalla gru. Fino a ieri, tuttavia, tutta la vicenda è rimasta in sospeso. Camozzi è rimasto impantanato in una serie terrificante di trattative con la Mpc e la Nuova Lombarmet, ditte proprietarie di alcuni macchinari utilizzati nei capannoni della Innse e necessari per mandare avanti l’attività. Il tutto fino all’intervento della Provincia, che con soldi pubblici ha accontentato tutti.