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 2009  settembre 17 Giovedì calendario

Dalla fila dei disperati ammassati nella Casa del Migrante si stacca un anziano signore minuto. Indossa vestiti sgualciti e sporchi ma di marca, mi viene incontro e mi stringe la mano

Dalla fila dei disperati ammassati nella Casa del Migrante si stacca un anziano signore minuto. Indossa vestiti sgualciti e sporchi ma di marca, mi viene incontro e mi stringe la mano. Parla un buon inglese, a voce bassa, cortese. «Mi chiamo Nick Trujillo, ho 66 anni, ne avevo 16 quando lasciai il Messico per gli Stati Uniti. Ho allevato tre figli e dieci nipoti a Spokane, nello Stato di Washington. Cominciai cinquant´anni fa lavorando come stagionale nella raccolta della frutta, a forza di sacrifici ho mandato i ragazzi all´università. Un figlio fa l´ingegnere, uno è architetto, la terza è pediatra. Facevo una vita tranquilla da pensionato, fino a un mese fa. Un controllo della stradale per un faro difettoso alla macchina. Dal computer della polizia risultavo espulso tre volte». «Furto d´identità: qualcuno si era impadronito del mio Social Security Number, il codice fiscale. Niente da fare, mi hanno arrestato, spostato in tre centri di detenzione. Impossibile contattare un legale o i miei familiari. Fino all´espulsione. Deportato a Tijuana, una città che ha una brutta fama. In un paese che quasi non conosco: in Messico non ho più nessuno, tutta la mia vita ormai era in America». Nick Trujillo è uno dei tanti relitti umani che la corrente delle espulsioni ha sbattuto qui sul confine messicano con la California. Dove le deportazioni dagli Stati Uniti dei clandestini (o presunti tali) procedono a un ritmo impressionante: 700 al giorno. Tijuana è il laboratorio di questo esperimento terribile. Il pugno duro contro l´immigrazione cominciato dall´Amministrazione Bush continua implacabile, malgrado le promesse di Obama di riformare le leggi sulla manodopera straniera. Tijuana è irriconoscibile rispetto all´ultima visita che feci otto anni fa. A quell´epoca era ancora una tappa del viaggio della speranza, prima della Terra Promessa oltre il confine. Dalle regioni messicane più povere come il Chiapas, dal Guatemala, dall´Ecuador e dalla Colombia, le ondate di migranti arrivavano qui per traversare la frontiera verso San Diego, per cercarsi un posto al sole nell´abbondanza californiana. Ora le stesse ondate che arrivano dal Sud vanno a cozzare contro il Muro, settecento miglia di cemento e filo spinato e telecamere a raggi infrarossi presidiate dalle Border Patrol. A loro si aggiungono i deportati dal Nord, gli indesiderati che gli Stati Uniti "restituiscono" al Messico. Gonfiata dalle espulsioni la vecchia cittadina di mare che campava di turismo duty-free ora supera i due milioni di abitanti. Una massa che il governo messicano stipa nelle "piccionaie", mostruosi quartieri di casette popolari «larghe un´automobile e mezza», distese di loculi in cemento che ricoprono le colline dove un tempo c´erano solo olivi e aranceti. Un cocktail micidiale mescola la xenofobia di alcune fasce dell´opinione pubblica americana con l´ascesa dei narcos, nell´èra del "crystal" (metanfetamine) a due dollari la dose. La Casa del Migrante gestita dai frati Scalabrini è un minuscolo porto di accoglienza, schiacciato nello scontro tra forze troppo grandi. «La recessione - dice frate Gugliemo - ha creato condizioni di eccezionale favore per i narcos. Ora trovano qui una manodopera abbondante, disoccupata, pronta a tutto. E la disperazione fa aumentare anche il consumo locale delle droghe. Un tempo parlare un po´ d´inglese a Tijuana era una risorsa per trovare impiego nel turismo. Ora serve per essere reclutati dalle gang che operano in California». Le guerre della droga hanno sfigurato Tijuana anche in un altro modo. Questa città vive in stato d´assedio, non solo per i regolamenti di conti tra i signori della droga. anche alla mercé della polizia e dei reparti speciali dell´esercito. Prima ancora dei narcos e dei sequestri di persona, sono gli uomini in divisa a farti paura. Circolano sempre in pattuglie di tre jeep, o tre autoblindo. Basta passare col semaforo rosso per essere fermati da squadre di Rambo che ti puntano il fucile automatico in faccia. La fama di questi agenti è sinistra. I peggiori girano con il volto completamente mascherato, giustizieri al di sopra della legge. I religiosi ne parlano con amarezza. « da vent´anni che alla Casa del Migrante svolgiamo la nostra missione di assistenza - dice frate Guglielmo - eppure non hanno nessun rispetto per noi. Per gli emigranti senza documenti che noi accogliamo, è la polizia locale il pericolo numero uno. Agli uomini in divisa tutto è permesso. Estorsioni, prepotenze, rapine. I deportati che la US Border Patrol caccia qui arrivano con qualche decina di dollari in tasca: la prima pattuglia di polizia messicana che li ferma li ripulisce di tutto, gli portano via perfino le scarpe da ginnastica». In questa terra di nessuno la polizia corrotta ha preso di mira anche i turisti. Il problema è talmente acuto che lo denunciano anche gli imprenditori locali, riuniti nel Comite Empresarial y Turistico. Il presidente di questa camera di commercio cittadina, Andrés Mendez Martinez, si confida con angoscia: «Le molestie ai turisti stranieri - mi dice - sono cominciate un paio d´anni fa. In cerca di guadagni facili, gli agenti hanno preso di mira i giovani americani che venivano qui nel weekend, attirati dai bassi costi e dalla legislazione permissiva sull´alcol nei locali pubblici. Le pattuglie li fermavano per strada, armi in pugno, gli svuotavano i portafogli a furia di pseudomulte. Tra queste disavventure con i poliziotti, e i giornali che parlano di sequestri e sparatorie coi narcos, il turismo a Tijuana è crollato del 70%, per noi è una rovina». Constato che non esagera la domenica pomeriggio, passeggiando lungo la spiaggia di Tijuana. Un tempo nei ristoranti e nei bar del lungomare, dove i mariachi col sombrero suonano la chitarra, almeno la metà del pubblico era americano. Ora incontro solo messicani. Un´altra muraglia invisibile, fatta di paura, è venuta ad aggiungersi al Muro: che sulla spiaggia proietta la sua ombra minacciosa, coi denti metallici delle barriere fatte di relitti della Guerra del Golfo del 1991. Questo Muro, nessuno lo dimentica, fu costruito da un presidente democratico, Bill Clinton, come prezzo da pagare alle pressioni anti-immigrati, subito dopo la firma del Trattato Nafta di libero scambio. Ora hanno chiuso perfino il Parco dell´Amicizia, un´oasi simbolica fra il Muro e la spiaggia, l´unica zona franca lungo il confine dov´erano ammessi gli incontri tra le due parti senza controlli d´identità. Prendo la Highway 5 verso Nord, attraverso il confine per rientrare negli Stati Uniti. Al posto di blocco i flash delle telecamere segnalano la foto che t´identifica insieme alla targa dell´automobile. Per chi arriva da San Diego ai bordi dell´autostrada sono ben visibili i cartelli «Guns not permitted in Mexico», e «Gun possession illegal in Mexico». Ricordano che per un altro traffico sono gli Stati Uniti la terra dove tutto è permesso. Seimila armerie - alla luce del sole - sono fiorite sul fianco Usa del confine, dal Texas all´Arizona alla California, per approvvigionare chi le userà più a Sud, in barba ai divieti messicani. Si moltiplicano le "fiere delle armi", grandi mercati rionali all´aria aperta dove i fucili automatici si comprano senza formalità. Il 90% delle armi utilizzate dai narcos sono state comprate legalmente negli Stati Uniti. A San Diego incontro Pedro Rios, direttore dell´American Friends Service Committee, una ong fondata dalla chiesa quacchera per aiutare gli immigrati. Conferma anche lui la sensazione dei frati cattolici di Tijuana: «Non c´è stato nessun cambiamento nella politica delle deportazioni, con l´Amministrazione Obama». La riforma delle leggi sull´immigrazione slitta di mese in mese, forse non se ne parlerà prima delle elezioni di mid-term del novembre 2010. O addirittura aspetterà le presidenziali del 2012. «Intanto - dice Rios - continua l´operazione End Game, che fu iniziata da Bush ed ha per orizzonte proprio il 2012. I numeri sono inquietanti: si vuole ripulire un bacino stimato a 600.000 clandestini. gestita con metodi militari dalla Homeland Security, lo stesso dicastero responsabile dell´antiterrorismo. Ha ventimila agenti delle Border Patrol in azione sul confine, un immenso investimento di uomini e risorse che nessuno ha interesse a fermare». Operazione End Game, cioè fine della partita: un feroce gioco di parole. Sembra evocare una sorta di soluzione finale del problema dei clandestini, che chiuda la partita prima di discutere di riforme al Congresso di Washington. John Morton, il sottosegretario di Obama responsabile per le forze schierate alla frontiera, lo ha confermato: «Non ci fermeremo». Il dramma dei clandestini se lo gestiscano a Tijuana, tra i narcos e i Rambo delle squadre speciali.