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 2009  settembre 17 Giovedì calendario

Il caso di Sanaa Dafani sta suscitando meno allarme, indignazione e dolore di quello capitato tre an­ni fa a Hina, ammazzata dal pa­dre e da due fratelli in giardino perché colpevole di voler vivere all’occidentale

Il caso di Sanaa Dafani sta suscitando meno allarme, indignazione e dolore di quello capitato tre an­ni fa a Hina, ammazzata dal pa­dre e da due fratelli in giardino perché colpevole di voler vivere all’occidentale.

Ad ammazzare Sanaa è stato poi il padre?
Ieri sera ha cominciato ad am­mettere qualcosa. Si sta cercan­do il coltello, buttato via dal­l’assassino e molto difficile da trovare nel fitto sottobosco.

Come è avvenuto il delitto?
Questa ragazza di 18 anni, Sa­naa Dafani, lavorava da qual­che mese come cameriera nel ristorante Spia di Montereale Valcellina in provincia di Por­denone. Il socio del locale è un uomo di 31 anni, libero da lega­mi sentimentali per quanto ri­sulta fino a questo momento, di nome Massimo De Biasio. Massimo e Sanaa, vedendosi ogni giorno alla Spia, a un cer­to punto si mettono insieme, da tre mesi addirittura lei vive a casa sua. Il padre, El Katawi Dafani, 45 anni, marocchino, aiuto cuoco a Pordenone, non è assolutamente d’accordo. Le amiche di Sanaa hanno raccon­tato che c’erano già state mi­nacce e scenate del padre sia a lui che a lei. In base ai loro rac­conti, la questione principale era che De Biasio era cattolico, mentre Sanaa – secondo il ge­nitore – doveva sposare un mu­sulmano, restare musulmana e crescere figli musulmani. Il colmo, dal suo punto di vista, è stato raggiunto quando lei è andata a vivere da lui. Dobbia­mo tener presente che nel mon­do islamico si viene considera­ti maggiorenni solo a vent’an­ni e che la fornicazione prima del matrimonio è un peccato grave. Si chiama ”zina”, è puni­ta con 80 frustate dalla sharia e con la lapidazione dalla sun­na.

Quindi il padre si sentiva legitti­mato in partenza a fare quello che ha fatto?
Non lo dica, perché una nostra Corte d’Appello (a Bologna) e poi addirittura la nostra Cassa­zione, in una sentenza mo­struosa di un paio d’anni fa, hanno considerato innocenti padre, madre e fratello che ave­vano tenuto sequestrata den­tro casa una ragazza maghrebi­na per non esporla alle tenta­zioni dell’Occidente. I giudici italiani hanno assolto i tre per­ché hanno tenuto conto della cornice culturale in cui è matu­rato il loro comportamento. Al­lo stesso modo, considererei aberrante attenuare la colpa di Katawi, se è lui l’assassino, per­ché musulmano e marocchino e dunque cresciuto in quel tipo di pensiero. Come ha capito, siamo nel pieno del problema dell’integrazione: queste per­sone, che ritengono inevitabi­le trattare le loro donne nel mo­do in cui le trattano, devono una volta giunte qui far lo sfor­zo di rinunciare al loro modo di pensare e accogliere il no­stro sistema o no? Lo dico sa­pendo, naturalmente, che an­che da noi ci sono uomini che ammazzano donne e padri che sopprimono le figlie.

Mi stava raccontando del delit­to?
Sì. L’altra sera, verso le sette, Massimo ha accompagnato Sa­naa al lavoro, stavano su una stradina della frazione di Griz­zo a bordo dell’Audi A 4 di lui quando gli si è parato davanti il padre. Secondo quello che s’è capito fino a questo momen­to, Massimo è sceso dall’auto e ha cominciato a litigare con Ka­tawi, urlavano tutti e due, e Ka­tawi a un certo punto ha tirato fuori il coltello. Sanaa che era scesa dall’auto pure lei è allora scappata verso il boschetto che costeggia la strada, Massimo ha tentato di impedire al padre di inseguirla e s’è preso un pa­io di coltellate all’addome e al­le mani che l’hanno messo fuo­ri gioco. Katawi ha poi raggiun­to la ragazza nel boschetto e ha preso a colpirla, con questo coltello che aveva in pugno, finché all’ultimo le ha tagliato la gola. Ha avuto ancora il tem­po di tornare a casa e di cam­biarsi, liberandosi di pantaloni e camicia sporchi di sangue. Questa – glielo ribadisco – è la sequenza a cui credono i cara­binieri anche sulla base delle testimonianze. Ci vogliono an­cora, però, parecchi riscontri.

Come possiamo sapere che il delitto è un prodotto del pregiu­dizio islamico?
Ci sono i racconti delle amiche di Sanaa e c’è il precedente di Hina, la ragazza pakistana am­mazzata in una vera esecuzio­ne capitale dal padre e dai due fratelli. Il padre, che si chiama Muhammad Saleem, al mo­mento dell’arresto disse: «Non volevo che diventasse come le ragazze di qui. Le avevo chie­sto di cambiare vita, ma lei non voleva». Di recente s’è di­chiarato pentito di quello che ha fatto. Anche il comporta­mento della madre, quella vol­ta, risultò contradditorio, con­fermando che c’era un atteg­giamento di condanna com­plessivo della famiglia. Pare che il padre avesse anche mole­stato la figlia. stato condan­nato a 30 anni. Lui dice che con un italiano i giudici sareb­bero stati più clementi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/9/2009]