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 2009  settembre 17 Giovedì calendario

1/ MOSLEY L’AVEVA DETTO: «ATTENTI A DARMI PER MORTO». COSI’ PARTITA LA FORMULA 1 DEI VELENI


L’uomo che sta per uscire di scena ha fret­ta di chiudere i conti e di sistemare quelle che per lui, probabilmente, sono insopporta­bili pendenze: dare scacco matto ai nemici personali; ribadire ai team adesso riuniti sot­to l’egida della Fota il primato dell’autorità della Federazione internazionale; sostenere, indirettamente ma anche in modo vigoro­so, Bernie Ecclestone, del quale – per sua stessa ammissione – non sarà mai un ami­co a tutto tondo ma nemmeno un avversa­rio che medita di affossarlo. I ladri di Pisa litigano, ma poi vanno assieme «in missio­ne »: ricordate la storiella?

Max Mosley, numero 1 della Fia fino al prossimo 23 ottobre quando verosimilmen­te lascerà il posto di comando a Jean Todt, che si propone come l’uomo della continui­tà, anzi della «sua» continuità (ecco un al­tro successo politico), deve avere un’agen­da riservata nella quale ha annotato nomi e scadenze. Quello di Flavio Briatore è solo l’ultimo sul quale si proponeva di tirare una riga: adesso che mister Billionaire è out, tra­volto assieme a Pat Symonds dalla bufera dei fattacci del Gp di Singapore 2008, Mo­sley può aggiungere un altro scalpo illustre alla collezione. Vengono in mente le sue pa­role, dopo l’annuncio che non si sarebbe più ricandidato: «Mi danno già per morto e sepolto, ma hanno sbagliato i calcoli».

Detto e fatto: sarà anche stato costretto a farsi da parte, ma nel gorgo ha trascinato al­tri. Muoia Sansone e muoiano i Filistei: pri­ma di Briatore, era stato Ron Dennis, boss della McLaren, a conoscere la «legge del pre­sidente ». Pure in quella vicenda era interve­nuto un intrigo di pista: la scorrettezza di Lewis Hamilton verso Jarno Trulli nel Gp d’Australia, apertura della stagione 2009. An­che a Melbourne gli steward della Fia non videro nulla di anomalo, salvo cambiare idea pochi giorni dopo e far partire un «do­mino », alimentato silenziosamente dallo stesso Mosley, che ha portato alle dimissio­ni del direttore sportivo della scuderia (Dave Ryan), un pesce però piccolo, e infine a quel­le del team principal, Dennis appunto, il boc­cone gradito a Max.

La tecnica di fare in modo che gli eventi montino come una valanga, affinché travol­gano e sommergano la vittima, pare appa­gante per il grande capo. la sua arma in una battaglia che prende le mosse da lonta­no, precisamente da quando le scuderie, ri­solute a contare di più, hanno costituito un fronte comune. Le squadre hanno cercato subito di mettere limiti al potere della fede­razione, abituata tra l’altro a giocare con i regolamenti, e a fare in modo che della tor­ta dei diritti commerciali «tagliata» da Eccle­stone spetti loro una fetta maggiore. Il pri­mo atto politico della Fota risale allo scorso marzo, a Ginevra. Ma l’associazione, presie­duta da Luca di Montezemo­lo, venne costituita nell’esta­te precedente e il vernissage coincise con i giorni del Gp di Monza. Dopo anni e anni di divisioni e di guerre, le squadre rinunciavano ai principi di un feudalesimo sportivo (traduzione: ognuno bada a se stesso e se mi rompi le scatole muovo le mani) e identificavano temi per un percorso condiviso. Tanto è bastato a far rizzare i capelli sia a Mosley sia a Ecclestone. Più diretto il primo, più sottotraccia il secondo (ma non per questo meno pericoloso). Bernie un po’ stava di qui e un po’ di là, un trasformista della F1 che ha scompaginato vari scenari. L’altro, invece, ha cominciato a escogitare un piano diaboli­co. Un progetto a più facce. Da un lato c’è stato l’attacco ai grandi gruppi dell’«auto­motive », che si erano permessi pubbliche censure in occasione della nota vicenda del­le frustate nel parlour sadomaso del quartie­re di Chelsea. Mosley ha dato potenti scosso­ni, però sempre con il sorriso sulle labbra e negando di volere il male di Tizio o Caio. La crisi mondiale gli ha dato una mano e dalla pianta sono cadute prima la Honda e poi la Bmw; a momenti stava per cascare pure la Toyota. La Renault, se Briatore non avesse fatto il beau geste , sarebbe stata la preda successiva.

Quindi Max s’è inventato, secondo lo schema arcinoto «qui comando io e si fa co­me dico io», una serie di novità normative all’insegna dell’austerity. Scelta astuta e so­stanzialmente inattaccabile (se c’è la crisi, si deve risparmiare), ma proposta con una strategia provocatoria: la cura dimagrante sarebbe stata pesante e rapida. Lui stesso im­maginava la difficoltà, anzi l’impossibilità, di portare budget da 300-400 milioni di eu­ro a 44 milioni d’un colpo. Ma non gli impor­tava (quasi) nulla: era solo un pretesto, utile anche a scardinare la compattezza della Fo­ta. Difatti, nel corso di mesi di estenuanti trattative, Williams e Force India hanno «tra­dito » e almeno un’altra scuderia ha vacilla­to.

Sono stati i giorni in cui la Ferrari, la Toyota, la Renault e la Red Bull sono state a un passo dal non iscriversi al campionato 2010. Sono stati i momenti in cui si parlava di un Mondiale alternativo. E la McLaren, fa­vorevole a questa soluzione, era costretta a non esporsi perché tenuta sotto scacco dal­la Fia.

Nel frattempo, dopo aver dato corso alla buffonata di iscrizioni fantasma sdoganan­do team improbabili, dopo aver comunque alzato la voce con tutti sul fronte delle ade­sioni al futuro campionato («O firmate, o siete fuori»), Mosley se n’era inventata un’altra per le gare.

Flash back per tornare all’inverno: la ex Honda non solo rinasce sotto le insegne del­la Brawn Gp, ma si scopre che va come una spia. Per quale motivo? Monta dei doppi dif­fusori (è la parte di coda della vettura, che convoglia il flusso in uscita dal sottoscocca, ndr ) che la rendono imprendibile rispetto a chi, fedele oltretutto all’interpretazione di una regola della stessa Fia tesa a ridurre gli effetti aerodinamici, ha progettato auto con uno «scivolo» semplice. Anche la Williams (team molto vicino a Mosley) e la Toyota adottano la soluzione. Le altre sette squa­dre protestano, ricorrono, ma la Fia confer­ma la legalità dei doppi diffusori, anche per non delegittimare gli steward che avevano eseguito le verifiche tecniche senza riscon­trare nulla di irregolare. Il campionato «strano» (verrebbe da dire falsato) nasce co­sì e in questa maniera prosegue. Alla fine, i team riescono a fare in modo che Mosley rinunci a candidarsi per un nuovo manda­to: ma non è la fine del presidente-dittato­re. La vicenda di Briatore e Symonds, nata dalla denuncia a scoppio ritardato di Nel­sinho Piquet, una storia che è stata imme­diatamente sfruttata da Max e pure da Eccle­stone, è lì a provarlo.

(1 - continua)