
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Rai ha il suo nuovo presidente. Si tratta di Anna Maria Tarantola, nata a Casalpusterlengo (Lodi) 67 anni fa, sposata con due figlie e nonna, fino a ieri vicedirettore generale della Banca d’Italia, grande esperta di banche e di bilanci, patitia di musica lirica e aliena da qualunque appartenenza partitica. Si dice che abbia già le idee molto chiare su quello che bisogna fare per rimettere a posto i conti di viale Mazzini.
• Com’è andata la votazione?
La Tarantola era già stata eletta presidente dal consiglio d’amministrazione di martedì, al quale non aveva partecipato. Bisognava che adesso ci fosse il voto di gradimento della commissione parlamentare di vigilanza: 27 voti almeno su 40. La Tarantola ne ha avuti 31. Il radicale, i due dell’Idv e i tre della Lega non si sono presentati. I berlusconiani in un certo senso hanno ceduto: pur ammettendo che il curriculum della Tarantola era fuori discussione, non volevano, con loro voto favorevole, aprire la strada alla cacciata dei partiti da viale Mazzini.
• Si tratta di una vittoria di Mario Monti? Diciamo: di una “grande vittoria”?
È presto per dire se si tratta di una grande vittoria. È certo che si tratta di una vittoria, e di una vittoria molto importante, dove è stato tra l’altro affermato con forza il principio della non-concertazione. Basta fare il paragone col passato. Un tempo la maggioranza si prendeva quattro consiglieri su nove, spartendoseli poi al suo interno, per esempio, l’ultima volta, tre al Pdl e uno alla Lega. Il ministero dell’Economia indicava poi un suo rappresentante e siccome il ministero dell’Economia era chiaramente guidato da un membro del governo, la maggioranza veniva di fatto a controllare cinque posti su nove. All’opposizione andavano, per riequilibrare la faccenda, i tre consiglieri residui (due al Pd e uno all’Udc) e il presidente del cda, il cosiddetto “presidente di garanzia” (lo sceglieva l’opposizione, ma la maggioranza aveva diritto di veto). Questo presidente “garantiva” tutti, ma senza praticamente avere poteri. Il potere era invece nelle mani, oltre che del cda controllato dalla maggioranza, in quelle del direttore generale, scelto sempre dalla maggioranza. Negli ultimi tempi: prima Mauro Masi, berlusconiano, poi Lorenza Lei, berluscaniana e assai gradita alle gerarchie cattoliche.
• Bene. E adesso, con Monti, che cosa è successo?
Monti fin da gennaio, facendosi intervistare da Fabio Fazio, aveva annunciatio che sulla Rai ci sarebbe stata un’iniziativa forte. A maggio sarebbe scaduto il vecchio consiglio d’amministrazione e questo avrebbe dato modo al governo di intervenire. Già a queste parole il centro-destra aveva sbuffato parecchio. La linea dei berlusconiani era di prorogare il vecchio consiglio, dove avevano la maggioranza assoluta e il controllo della situazione. Proroga del cda, proroga della Lei, proroga del direttore del Tg1, che era nel frattempos subentrato ad Augusto Minzolini (si tratta di Alberto Maccari, che lo dirige tuttora). Monti era di un’idea completamente diversa e l’8 giugno annunciò di aver scelto sia il presidente che il direttore generale: Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi. Spiegò pure che era sua intenzione dare molto potere ai due personaggi, a discapito del consiglio d’amministrazione. A parte le nomine dei direttori di tg e dei direttori di rete, che si sarebbero sempre dovute concordare tra presidenza, direzione generale e consiglieri d’amministrazione rappresentanti dei partiti, per il resto presidente e direttore generale avrebbero potuto agire in piena autonomia, senza cioè convocare il cda, per qualunque spesa fino a 10 milioni di euro. Quindi: i contratti delle dive e delle divette (e dei divetti), ma anche i responsabili di settori importanti della tv pubblica, come per esempio la divisione di Rai fiction o di Rai cinema, che muove budget molto consistenti, sarebbero stati tolti alle trattative con le forze politiche e alle loro costose pratiche spartitorie… I partiti hanno fatto sempre una quantità di sottogoverno con la Rai, piazzami questa velina, a questa direzione ci voglio questo amico mio, quanti redattori capo mi dai?, eccetera eccetera eccetera.
• Capisco. E adesso non sarà più così?
Ma intanto non c’è una maggioranza sicura in consiglio. Il ministero dell’Economia ha scelto come suo rappresentante Marco Pinto, e Marco Pinto non può essere ascritto a nessuna lobby partitica. Poi ha indicato come presidente Tarantola, e idem: si tratta di una signora dal curriculum effettivamente impressionante, che ha avuto in carico la vigilanza sul sistema bancario italiano, e che possiamo al massimo definire molto cattolica. Ma chi s’azzardasse ad iscriverla – che so – alla corte di Casini, piglierebbe una topica gigantesca. Pdl e Lega hanno eletto i loro quattro consiglieri: ma la maggioranza in cda (nove membri) non è più garantita. Tra gli eletti del centro-destra la Todini risulta poi piuttosto inquieta e non è detto che faccia sempre massa con gli altri.
• Quindi Monti ha vinto.
Ha imposto i suoi candidati, con una procedura forse addiritturta forzata, ma che i partiti non hanno comunque avuto la forza di contrastare. Il centro-destra ha cercato di rendere la vita difficile al premier durante le votazioni per il cda, ma alla fine ha dovuto cedere. Anche sul gradimento: le riunioni tra Monti e i rappresentanti di Berlusconi sono continuate fino all’ultimo minuto, ed è probabile che Monti abbia dovuto limare un minimo i poteri della diarchia presidente-direttore generale. Che so, il limite operativo invece di arrivare a dieci milioni, arriverà magari a otto o a cinque. Ma non molto più di questo: perché la Tarantola, una signora che è stata portata in auge da Mario Draghi, ha già fatto sapere che senza poteri autentici non si sposterà di sicuro dalla Banca d’Italia.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 13 luglio 2012]