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 2012  luglio 13 Venerdì calendario

LA SFIDA GLOBALE SUI TASSI A DIFESA DEI PIL NAZIONALI

Una dopo l’altra. Come se si fossero date un appuntamento. Le banche centrali di tutto il mondo stanno allentando la politica monetaria: quelle dei paesi emergenti, che si sono fatte cogliere un po’ di sorpresa dal rallentamento globale, dopo un ciclo di "strette"; e quelle dei paesi avanzati, che pure hanno già portato da tempo i tassi ai minimi storici e hanno varato imponenti operazioni non convenzionali di creazione di liquidità.
Solo ieri due autorità monetarie, quella del Brasile e anche quella della Corea del Sud - un po’ a sorpresa - hanno abbassato il costo del credito (rispettivamente dall’8,50% all’8% e dal 3,25% al 3%); mentre la Banca del Giappone, pur mantenendo un orientamento "espansivo" è riuscita a deludere i mercati, che si aspettavano qualcosa in più. Nei giorni scorsi, era toccato alla Cina, per la quale sono previsti altri interventi in futuro. Presto potrebbe essere il turno dell’India.
Le mosse più aggressive sono però arrivate dall’Europa: giovedì 5 luglio la Banca centrale europea ha tagliato i tassi portandoli allo 0,75%, dopo aver considerato per mesi l’un per cento come un livello inviolabile; e ha fatto calare i tassi sui depositi - pagati alle banche - a quota zero, solo pochi mesi fa considerata improponibile. La Bank of England ha intanto aumentato di altri 50 miliardi di sterline i suoi programmi di acquisti di titoli finanziari. A lungo gli investitori hanno immaginato che anche la Fed si sarebbe inserita su questa scia, dopo aver prolungato, il 20 giugno, la sua politica di reinvestimento dei titoli acquistati in scadenza, dedicandosi soprattutto ai bond a pià lunga scadenza. I verbali dell’ultima riunione del Comitato di politica monetaria, il Fomc, hanno però raffreddato un po’ gli entusiasmi, mostrando qualche divergenza di opinione tra i governatori su un possibile terzo round di acquisti di bord.
Il tempo in realtà sembra propizio agli allentamenti. Di tensioni inflazionistiche, ormai, se ne vedono poche: la recessione in alcuni paesi avanzati, Eurolandia in testa, e la frenata di quelli emergenti riducono le pressioni sui prezzi. Il greggio in passato aveva spaventato i banchieri centrali non tanto per i suoi effetti diretti o indiretti - quello che crea il caro greggio è un cambiamento nei prezzi relativi, più insidioso ma non aggredibile con la politica monetaria - quanto per i suoi effetti sulle rivendicazioni sindacali e sulle politiche di prezzo delle aziende, ma ora sta rallentando, e punta nel lungo termine - secondo le previsioni di Crédit Suisse - a quota 90 dollari al barile. In Eurolandia, non a caso la più aggressiva, la massa monetaria cresce lentamente, anche se con velocità molto diverse da paese a paese, giustificando un allentamento anche da un punto di vista rigorosamente "monetarista" (purché non troppo ideologico).
Il punto è quanto potrà davvero fare la politica monetaria; e con quali costi. Le perplessità degli americani sono rivelatrici. Il problema non è tanto sui prezzi, che reagiscono nel lungo periodo: quello che una banca centrale crea, in termini di liquidità, può distruggere (con qualche "ma"...). La gestione dell’offerta di moneta è dinamica, non statica. Il nodo sono le quotazioni degli assets, che invece reagiscono immediatamente, e la connessa valutazione dei rischi: non era la loro distorsione, almeno in parte, che aveva creato terreno fertile per la crisi nel 2007-08? Senza contare che con gli acquisti di bond i confini tra politica monetaria e politica fiscale diventano meno chiari e questo crea, di nuovo, rischi nel lungo termine.
I vantaggi sono meno chiari. Negli Stati Uniti il nodo resta il settore delle costruzioni, e ci sono molti dubbi che la disoccupazione "residua" sia ciclica e quindi curabile con la politica monetaria. Quello che pesa davvero sono le aspettative di un rialzo automatico delle tasse a fine anno. Qui, come in Eurolandia e in tutti i paesi sviluppati, le banche centrali - spiega Joachim Fels di Morgan Stanley - possono "solo" evitare che si creino aspettative di calo dei prezzi e quindi una spirale di deflazione-recessione che potrebbe portare a un "equilibrio giapponese", di prolungata stasi. Nei paesi emergenti la situazione è migliore ma appunto, come spiegano Stephen Jen e Fatih Yilmaz di Slj Macro Partners, si tratta di economie con mercati finanziari immaturi. Difficilmente, se ne può concludere riescono a ottenere grandi risultati con la politica monetaria (come mostra la pluralità di strumenti usati dalla Banca del Popolo di Pechino). Alla fine, come notano gli economisti della BofA Merrill Lynch, le banche centrali possono solo creare un "cuscinetto" per assorbire gli urti. A meno che con il gioco delle aspettative - da gestire con grande cura - i mercati, non solo finanziari, non inizino a dare una mano.