Danilo Taino, Sette 13/7/2012, 13 luglio 2012
Per anni ha attratto migliaia di imprese, fondi, trust ed evasori europei. Oggi è nel mirino della lotta ai paradisi fiscali lanciata dai finanzieri di Sua Maestà
Per anni ha attratto migliaia di imprese, fondi, trust ed evasori europei. Oggi è nel mirino della lotta ai paradisi fiscali lanciata dai finanzieri di Sua Maestà. E così qualcuno torna a parlare di indipendenza, in nome della libertà “offshore” – Non guardatela con supponenza, l’isola di Jersey. Non sarà Capri, ma ha le spiagge, i pescatori, le dune. Condividerà con altri la pessima reputazione di paradiso fiscale, ma è piuttosto ipocrita che il suo critico più indignato sia stato, nei giorni scorsi, il primo ministro britannico David Cameron, il quale qualche ora dopo magnificava la concorrenza fiscale e invitava i francesi ricchi a trasferirsi a Londra quando a Parigi l’aliquota sui grandi redditi salirà al 75 per cento, come vuole François Hollande. E sarà anche un’isola provinciale in mezzo alla Manica, fatto sta che ha prodotto una delle donne più ammalianti, discusse e globali della Londra vittoriana e della sua Corte, cioè di quello che allora era il centro del mondo: Lillie Langtry, The Jersey Lily, bellezza in onore della quale Oscar Wilde vagava per la capitale inglese, un mazzo di gigli nelle mani e diceva di volerlo portare alla nuova Elena di Troia. Non trattatela con supponenza, dunque. La patria di Lily. Per raccontare questa terra di commercialisti, di contabili e di elusori di passaggio (metà dell’economia locale è fatta da “servizi finanziari”) è meglio partire proprio dal Giglio di Jersey, Lillie Langtry: la sua vita racconta del legame portentoso dell’isola con la Gran Bretagna. Nata Emilie Charlotte Le Breton nella capitale Saint Helier, nel 1853 – quando in città viveva, esiliato, Victor Hugo – era la figlia del Dean of Jersey, il pastore anglicano più alto in grado, grande donnaiolo. Erano anni in cui l’isola viveva di agricoltura, di pesca, di tessitura (il jersey viene da qui) e soprattutto di commercio, grazie alla posizione strategica tra Francia e Gran Bretagna. A quei tempi vi si parlava Jèrriais, una lingua di origine normanna, e gli affari venivano condotti in francese: solo nel Novecento l’inglese prenderà il sopravvento. Ma Emilie, presto diventata Lillie, puntava a Londra. Era di una bellezza e di un’ambizione straordinarie e, a vent’anni, subito dopo il matrimonio con un proprietario terriero (e di panfili), l’irlandese Edward Langtry, riuscì a trasferirsi a Belgravia, quartiere elegante di una metropoli all’apice della gloria imperiale. Presto entrò nella società migliore, il suo nome iniziò a circolare a corte e gli amici, forse Wilde o forse Sarah Bernhardt, la spinsero a recitare a teatro. Con grande successo, a Londra come in America. Il 24 maggio 1877, l’allora Principe di Galles Albert Edward, Bertie, futuro re Edoardo VII, fece in modo di sedersi accanto a Lillie durante una cena. Diventarono amanti. Al punto che Bertie, già sposato alla Principessa Alexandra, la volle introdurre alla madre, la Regina Vittoria. Lillie, sfrontata, si presentò alla sovrana con tre piume di struzzo sul cappello, il simbolo del Principe di Galles. Non è dato sapere quale sia stata la reazione di Vittoria: di certo, fece togliere il ritratto dell’attrice di Jersey da sopra il letto del figlio più giovane, Leopold. Il Langtry Phenomenon era iniziato e non finì tanto presto. The Jersey Lily ebbe molti altri amanti, tra questi il Principe Louis of Battenberg, padre dell’ultimo viceré dell’India, Louis Mountbatten. Poi viaggiò, fu una delle prime donne a fare la pubblicità di creme e prodotti di bellezza, comprò vigneti, mise su una scuderia, diventò americana e morì nel 1929 a Montecarlo. Pochi giorni fa, due mazzi di fiori erano posati sotto il suo busto bianco, nel prato di St. Saviour, la chiesa che fu del padre. La favola della povera isolana che fece ombra a principesse e regine serve a raccontare che a Jersey l’ambizione e la tenacia sono di casa e che il legame con l’Inghilterra ha radici solide, e non solo d’affari: Londra era ed è l’approdo naturale degli isolani. Che oggi alcuni dei suoi politici più rilevanti minaccino di troncare ogni rapporto con la Corona britannica – dalla quale dipendono pur non essendo parte del Regno Unito – e di dichiarare la completa indipendenza dà l’idea di quanto sia diventato difficile il mondo. Naturalmente, al cuore del problema ci sono le tasse: nel secolo scorso Jersey – come d’altra parte Guernsey, l’altra delle due grandi Channel Islands – è diventata un territorio fiscalmente offshore che ha attratto migliaia di imprese, fondi e trust. Da quando la Gran Bretagna è entrata nella Ue, nel 1973, le Isole del Canale – British Crown Dependencies – beneficiano infatti della libertà di scambio con il resto d’Europa ma non ne fanno parte e non devono rispondere alle regole a cui sono tenuti i 27. Ciò ha permesso a Jersey di essere, in fatto di tasse, un corsaro a poche miglia dalle coste francesi e inglesi. Ora, però, la crisi finanziaria ha dato una spinta formidabile (anche se è difficile dire quanto di successo) alla lotta dei Paesi occidentali contro i paradisi fiscali. Non vogliono che l’ultimo dollaro, euro, sterlina sfugga alle maglie dell’esattore. Per Jersey la vita ha girato al difficile e l’elusione fiscale, per quanto spesso legale, ora è diventata per molti moralmente inaccettabile. La base ideale del rifiuto la spiega Richard Murphy, fondatore dell’organizzazione Tax Research e militante contro l’evasione, al quale il termine paradisi fiscali non basta: «Noi le chiamiamo giurisdizioni segrete: sono posti che deliberatamente passano legislazioni che minano le regole di un altro Stato. Creano un velo di segretezza per assicurare a chi usa le loro regole di non essere scoperto dal Paese nel quale è domiciliato. Jersey è senza ombra di dubbio in questo gruppo: è il paradiso fiscale leader al servizio della City di Londra». Lo schema K2. Downing Street ha dunque iniziato – almeno così vuole mostrare – a stringere il cappio sulla cosiddetta “pianificazione fiscale”, pratica usata da anni da aziende e individui per ridurre il carico delle imposte usando smagliature nelle legislazioni che consentono di abbattere le tasse senza infrangere clamorosamente la legge. Ora le autorità britanniche hanno aperto un’indagine su un caso che è diventato politicamente esplosivo. Un reporter del quotidiano Times ha finto di essere un manager con uno stipendio annuo di 280 mila sterline ed è andato da un consulente fiscale specializzato in Isole del Canale. Questi, Roy Lyness, gli ha fatto notare che in Gran Bretagna dovrebbe pagare 127 mila sterline di tasse. Ma se usasse lo schema K2 – in sostanza le 280 mila sterline vanno in un trust a Jersey che poi le restituisce al proprietario sotto forma di prestito non tassabile – pagherebbe solo 3.500 sterline, l’1,25 per cento. Tutto nella legge. Di fronte a questa rivelazione, si è scatenato l’inferno fiscale. La Revenues and Customs di Sua Maestà ha lanciato un’indagine su 168 milioni di sterline finiti a Jersey attraverso lo schema K2. I politici hanno chiesto che la falla del sistema venga chiusa al più presto. E il primo ministro britannico David Cameron ha trovato il tempo, durante la riunione dell’ultimo G20, di definire “moralmente sbagliato” il fatto che un famoso attore comico, Jimmy Carr, abbia approfittato di Jersey per eludere il fisco. Una vera e propria offensiva. Che in apparenza preoccupa le autorità a Saint Helier. Mentre il ministro capo Ian Gorst ha invitato gli isolani a rispettare le leggi, l’assistant chief minister, Sir Philip Bailhache, ha detto che «l’isola dovrebbe essere pronta a difendersi e dovrebbe essere pronta a diventare indipendente se fosse necessario». In città, se si chiede quanto sia realistica la minaccia di totale indipendenza dalla Corona britannica, fanno presente che nel 2008 un gruppo di lavoro ha studiato la questione e ha concluso che Jersey «è equipaggiata per affrontare le sfide dell’indipendenza», anche se non ha raccomandato di compiere il passo che la costringerebbe a cercare una rappresentanza internazionale propria e a darsi una difesa, funzioni ora svolte dal Regno Unito. Nemmeno la comunità degli affari sembra tremare. Roy Lyness, il consulente che ha spiegato al Times il sistema K2, dice che con Londra «è il gioco del gatto e del topo: le autorità chiudono uno schema, noi troviamo un altro modo per aggirare l’ostacolo». Vedremo. Però non guardatela dall’alto in basso: sarà immorale, ma l’isola in cui è fiorita Jersey Lily è tosta, non mollerà solo perché l’ha detto Cameron.