Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 13 Venerdì calendario

MARKETING GAY IN ITALIA? NO, GRAZIE


Possono spendere quasi il doppio degli altri, non sono refrattari alla moda, al design e ai temi della sostenibilità, ma la maggior parte dei brand e delle insegne non li include nella comunicazione di massa. I consumatori gay e lesbiche in Italia restano ancora un pubblico verso cui le aziende faticano a comunicare, rinunciando a introiti che di questi tempi potrebbero fare la differenza.
Non tutti: insegne internazionali come Ikea, Abercrombie, ma anche il Fidenza Village, uno dei nove Chic Outlet Shopping gestiti da Value Retail, per quanto riguarda la distribuzione, approfittano della loro esposizione gay friendly, così come marchi del calibro di Citroën, o Dolce e Gabbana, senza temere di perdere quote di mercato fra gli etero.
È invece la grande distribuzione, salvo rari casi, a non contemplare la clientela gay, a differenza di quanto stanno facendo negli Usa due catene di grandi magazzini come J.C. Penney e Target. Dopo aver allargato il proprio marketing agli ispanici e agli afroamericani, le due insegne stanno cercando come altre di entrare più in sintonia con i consumatori gay attraverso i canali ufficiali, contando sulla loro capacità di spesa: 49 mila dollari pro capite, spalmati su almeno 16 milioni di statunitensi, contro i 26 mila degli etero (quasi 40 mila euro contro 21 mila), secondo il Wall Street Journal. Ma anche in Italia, la disponibilità di reddito di gay e lesbiche è circa il 40% più alta, secondo i dati in possesso di Com.ma marketing (www.commaonline.it), agenzia di comunicazione specializzata in azioni mirate verso il pubblico gay e gay friendly (che a quanto pare non ama essere definito omosessuale, per la connotazione negativa che questo termine ha avuto in Italia).
«Le insegne, ma anche i marchi del made in Italy, sono meno motivati (non così le filiali straniere degli stessi marchi, per esempio Fiat in Spagna che nel 2010 ha celebrato il gay pride con dei modelli ad hoc della Cinquecento, ndr), rispetto alle multinazionali, provenienti da società multiculturali, più aperte, come quella scandinava, ancor più che quelle nordamericane», osserva Diego Rinallo, docente presso l’Università Bocconi di Milano.
Una questione culturale, prima di tutto, anche se non è detto che si resti sempre in questa posizione.
Più semplice il discorso che possono fare i brand che si caratterizzano con una posizione simbolica orientata «alla ribellione, all’essere controverso», senza che il consumatore sia identificato necessariamente come gay. Comprarsi il rosario di Dolce e Gabbana, o la Citroën griffata dai due stilisti, insomma, va oltre gli orientamenti sessuali. Fa tendenza, è un gioco per chi vuole essere fuori dalle righe. «Una comunicazione troppo segmentata, tuttavia, potrebbe essere controproducente», mette in guardia Daniela Ostidich, presidente di Marketing & Trade e sociologa dei consumi, «la comunicazione delle aziende casomai si rivolge a un più ampio pubblico etero, affascinato dal mondo gay. L’incertezza del presente si trasforma in incertezza dell’individuo. Nei periodi di debolezza, la società si reinventa anche con la diversità».
Tuttavia, fare marketing in chiave gay non è facile, nella Penisola. «Si fa molta fatica», conferma Daniele Iannaccone, responsabile grandi clienti di Com.ma e Gay.it, maggiore medium gay italiano con 600 mila utenti unici mensili. «Le aziende dovrebbero venire allo scoperto, coinvolgere più persone all’interno e non è sempre semplice. Anche perché poi bisogna rendere conto del lavoro svolto, che non sempre va a buon fine. È necessario che l’azienda sia matura, consapevole e strutturata».
Nondimeno, internet oggi permette anche alle aziende che non vogliono prendere posizione apertamente, ma non intendono rinunciare a un pubblico interessante, di comunicare in modo mirato. «Chi utilizza internet di solito è più giovane e aperto, i budget sono relativamente bassi e difficilmente i navigatori etero finiranno su un sito gay». Su Gay.it, per esempio, nel 2012 hanno pianificato fra gli altri Alfa Romeo, Fiat, American Express, Fineco (gruppo Unicredit), Tim, H&M, Yamamay, Citroën, Nokia, Ngm, perché interessati a un target altospendente e capace di lanciare tendenze.