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 2012  luglio 13 Venerdì calendario

TREDICI A TAVOLA


Tavolo tredici? No grazie. Su questo nel Regno Unito sono tutti d’accordo, ristoratori e avventori. Il risultato è che nella stragrande maggioranza dei locali britannici si passa dal 12 al 12bis, per arrivare indenni al 14. E il tabù non riguarda solo i popolarissimi
fish & chips,
ma anche l’empireo degli chef stellati. Ben dodici dei quattordici santuari della gastronomia albionica hanno cancellato la pecora nera dei numeri. E il direttore generale dell’esclusivissimo “Le Gavroche”, uno sfolgorio di cristalli e di argenti nel cuore di Londra, confida che quando i vip riservano l’intero locale per le loro feste, nel 99 per cento dei casi non vogliono neppure sentir nominare il tredici.
Evidentemente neanche il razionalissimo
self control
inglese può nulla contro la triskaidecafobia. Una parola impronunciabile inventata dallo psichiatra Isador Corian ai primi del Novecento per definire
la psicosi del numero tredici. Diffusa in tutto il mondo, ma che tocca punte inimmaginabili in quello anglosassone. Che oltretutto oggi è alle prese con il terzo venerdì 13 del temutissimo 2012, anno su cui si concentra il fuoco incrociato della sfiga annunciata. Da una parte la profezia Maya e dall’altra le quartine menagramo di Nostradamus. E forse è proprio a tavola che nasce la cattiva fama della cifra fatale. E precisamente dal ricordo dell’Ultima Cena, dove i commensali erano appunto in tredici. Con Giuda che, oltre a essere il tredicesimo a tavola, per non farsi mancare niente rovescia anche il sale. Ulteriore segno di malasorte. Dal drammatico epilogo del cenacolo deriva, con tutta probabilità, la nostra credenza secondo cui se si è in tredici a tavola uno dei commensali morirà entro l’anno.
Anche la mitologia germanica
ha la sua ultima cena. È il
banchetto del Walhalla, il pantheon nordico, dove l’arrivo di Loki, il tredicesimo dio, dà inizio alla caduta degli dèi. E prima ancora si racconta che Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno, si
fece fare una statua e la aggiunse a quella delle dodici divinità maggiori. Gli andò male perché finì assassinato. A tavola
of course,
durante un banchetto. Così invece che sull’Olimpo finì nell’Ade.
Ma l’ombra nera del numero nefasto colpisce anche le persone più insospettabili. Come la regina Elisabetta che negli anni Sessanta dovendo far visita a Duisburg, nell’ex Germania dell’Est, fece chie-
dere dal suo addetto al cerimoniale di cambiare il numero del binario d’arrivo del treno. Si trattava, inutile dirlo, del tredicesimo. Che si trasformò per incanto nel 12a. Perché in certi casi la forma è sostanza. Soprattutto quando si ha a che fare con il misterioso linguaggio dei simboli. Cui non sono insensibili nemmeno le compagnie aeree. Che spesso saltano fila, poltrona e
gate
col numero incriminato. Caso estremo quello della Brussels Airlines che qualche anno fa è stata costretta a cambiare il logo che compare sulla coda dei suoi velivoli. Una b minuscola composta da tredici cerchietti rossi. La crociata apotropaica dei passeggeri ha ottenuto che il numero dei cerchietti salisse a quattordici. Una quota di sicurezza. E soprattutto rispettosa dei diritti dei superstiziosi. Che ormai si sono addirittura globalizzati. Al punto che da Dubai a San Paolo, da New York a Shanghai, i grattacieli non hanno il tredicesimo piano. O meglio fingono di non averlo. E ricorrono al solito sotterfugio del dodici bis o addirittura
saltano con
nonchalance
al quattordicesimo.
E i responsabili della Otis, leader mondiale degli ascensori, dichiarano che l’ottantacinque per cento delle loro pulsantiere non ha “un piano chiamato tredici”. Stessa regola vale per gli alberghi. Dove la sindrome del numero nefasto ha ispirato capolavori horror. Come 1408 di Stephen King. Una stanza maledetta le cui cifre sommate fanno giusto tredici e da cui non si esce vivi.
Eppure questa irrazionalità collettiva un senso ce l’ha. Perché le superstizioni ci danno l’illusione di controllare l’incontrollabile. Sono una sorta di placebo. A condizione di non crederci fino in fondo. Di restare nella dimensione del non è vero ma ci credo. Una sorta di sospetto preventivo insomma, che ci aiuta a dare alle nostre ansie, paure, insicurezze un volto e una forma. E persino un numero.