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 2012  luglio 13 Venerdì calendario

DA FIAT A TELECOM PASSANDO PER CUCCIA CINQUANT’ANNI DI FLOP E SPONSOR ECCELLENTI


Nella Fiat degli anni Settanta, Gian Mario Rossignolo, allora manager rampante, poco più che quarantenne e accreditato nel gruppo che gravitava attorno a Umberto Agnelli, aveva tentato di far passare la singolare teoria della “discesa delle tecnologie”: a suo dire significava prendere atto che i Paesi più industrializzati e avanzati d’Europa, come la Germania, la Francia e l’Italia, presto avrebbero abbandonato la strada dei prodotti maturi, come l’automobile, per dedicarsi ad altro. Forse per questa stravagante
convinzione, che secondo quanto ricordato da Romiti era considerata “una follia” da Carlo De Benedetti, a quel tempo anche lui manager del gruppo torinese, Rossignolo venne battezzato negli ambienti Fiat “venditore di aria fritta”.
Definizione tutt’altro che lusinghiera, ma che, in quegli anni turbolenti per l’azienda degli Agnelli, non gli impedì di scalare parecchi gradini della carriera fino al posto di comando di Ceo e direttore generale della Lancia.
Ironia della sorte, il Rossignolo che non credeva nell’auto ha intrapreso la carriera di manager nel settore dell’auto e, dopo avere fatto e disfatto tante altre cose, è tornato all’auto, questa volta in proprio per poter decidere a modo suo, tentando di far uscire il coniglio dal cappello a cilindro e finendo ingloriosamente agli arresti domiciliari in una giornata di luglio e alla veneranda età di 82 anni. «Ho la fortuna di non sentire il peso degli anni e mi piace lavorare, inventare, misurarmi sempre con qualcosa di nuovo» confessò qualche anno fa a un giornalista.
Forse già allora pensava alla De Tomaso e a come, attraverso questa azienda, sarebbe rientrato sulla scena torinese con quella che più tardi sarebbe stata l’operazione Pininfarina. Dunque l’auto come principio e fine di un imprenditore, lodato e denigrato, che ha ricoperto posti imporgnolo,
tanti passando come una meteora, cosa che accadeva a non pochi manager di quelli che nella seconda metà del secolo scorso riuscivano a dilagare sulle pagine dei giornali precipitando rapidamente dagli altari alla polvere.
Il cavaliere del lavoro Rossi-
origini monferrine, laurea in Economia e commercio, sposato e padre di un figlio non proprio estraneo alle sue sfortune imprenditoriali, sta in questo “format” di storia industriale all’italiana.
L’inizio è
nella Fiat di Umberto Agnelli, con uscita dalla medesima ad opera di Romiti.
Era infatti il 1979, quando, dopo essere entrato in rotta di collisione col “divo Cesare”, Rossignolo emigrò verso l’Europa scandinava alla corte della famiglia Wallenberg, assumendo la
presidenza della Riv-Skf. E fu sempre Peter Wallenberg, non senza qualche interessamento da parte di Enrico Cuccia, ad affidargli poi la Zanussi di Udine. In questi passaggi Rossignolo era riuscito a cucirsi addosso un abito di manager non sgradito alle sinistre e mediamente non odia-
to dai sindacati. Quando ancora era in Fiat e subito dopo, questa immagine, nella Torino del sindaco comunista Diego Novelli e a fronte di quella di Romiti, sembrava quasi rivoluzionaria.
Lui abilmente non fece mai nulla perché si pensasse il contrario. Anche perché presentarsi come ha sempre fatto, nei panni del risanatore di aziende e per ultimo anche di creatore di nuove imprese, lo aiutava a conquistare appunto le simpatie di certa sinistra e quelle dei sindacati, e a dare credibilità a progetti anche quando questi non stavano né in cielo né in terra.
La Atlas Copco, la Ericsson sono
state altre tolde di comando da lui frequentate e sempre con un alone di imprenditore moderno e dinamico. Poi nuovamente l’Italia, con la presidenza Telecom nel 1998, conquistata al termine di un’assemblea durata oltre venti ore e conclusa con la promessa da parte sua di piani di investimenti a Nord e a Sud di cui si vedrà poco o nulla, compreso un Progetto Socrate per le fibre ottiche. Non successe nulla, non foss’altro che per il fatto che quella presidenza è durata meno di un anno solare, da gennaio a novembre, il tempo necessario perché fosse preparato il nuovo passaggio di poteri in mano a Franco Bernabè. Non senza una liquidazione per Rossignolo di 10 miliardi di lire che a quel tempo erano ancora una bella cifra.
Qualche anno di silenzio e poi, quando molti pensavano che il cavaliere Rossignolo si fosse ritirato sulle colline del suo Monferrato, rieccolo. Con un nuovo progetto avveniristico: mettersi a produrre quelle automobili che trent’anni prima aveva retrocesso a prodotto buono al massimo per i Paesi in via di sviluppo. Con l’abilità di sempre, prima ha corteggiato la Bertone e poi è finito in casa di una Pininfarina in difficoltà.
Anche qui con sponsorizzazioni di sinistra e braccia aperte da parte del sindacato. E ci voleva poco per capire che la sua De Tomaso, le tecnologie rivoluzionarie mai viste, i soci stranieri annunciati e mai arrivati erano un bluff. Sono, invece, arrivati i carabinieri.