Debora Alberici, ItaliaOggi 13/7/2012, 13 luglio 2012
ALLA GDF NON SERVONO ROGATORIE
Più facile per le Fiamme Gialle entrare in possesso e utilizzare documenti che inchiodano i partecipanti a una maxi-frode fiscale. Nelle indagini per evasione, infatti, gli atti e i documenti esteri possono essere utilizzati dalla Guardia di finanza senza che sia necessaria la procedura di rogatoria internazionale.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 27736 del 12 luglio 2012.
Insomma la terza sezione penale ha confermato il sequestro finalizzato alla confisca a carico di un imprenditore di Napoli, accusato di non aver presentato la dichiarazione Iva per il 2007 e 2008, e di aver quindi evaso l’imposta per un importo superiore ai 150 mila euro. La misura era stata spiccata sulla base di un’accurata indagine della Guardia di finanza, sia sui conti bancari sia su una serie di atti esteri, acquisiti senza rogatoria.
Per questo il contribuente si era opposto al sequestro di fronte al tribunale di sorveglianza del capoluogo campano. I giudici di merito gli avevano dato torto.
A questo punto l’imprenditore ha fatto ricorso alla Suprema corte presentando cinque complessi motivi. Con l’ultimo punto, quello più interessante, il contribuente ha lamentato una violazione di legge e mancanza di motivazione in quanto il Collegio del riesame avrebbe ritenuto utilizzabili atti esteri in assenza di rogatoria internazionale, ritenendoli acquisiti in via amministrativa dalla Guardia di finanza.
A questa obiezione i giudici hanno risposto che «risulta del tutto infondato anche il quinto motivo di ricorso, atteso che le acquisizioni documentali della Guardia di finanza attengono al procedimento di accertamento fiscale e avendo natura di atti amministrativi esulano dalla disciplina relativa alle rogatorie». Nel 2009 la stessa Cassazione aveva dettato un principio più generale ora applicabile anche alle maxi-inchieste fiscali per cui «la sanzione d’inutilizzabilità degli atti assunti per rogatoria non si applica ai documenti autonomamente acquisiti dalla parte all’estero direttamente dalle amministrazioni competenti e che la successiva utilizzazione processuale va stabilita avuto riguardo alla disciplina dettata dagli artt. 234 e ss. cpp».
Nulla da fare neppure per gli altri motivi con i quali l’imprenditore ha tentato di smontare l’impianto accusatorio e quindi di far cadere la misura ablativa. Con il sesto l’uomo ha lamentato che soldi e quote societarie di cui era stato privato non erano affatto pertinenti con l’evasione fiscale contestata. Ma a questo proposito i Supremi giudici hanno chiarito che ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, «non è necessaria la prova del nesso di pertinenzialità della res rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca - per un valore corrispondente a quello relativo al profitto dei reato - i beni nella disponibilità dell’indagato, che possono non avere alcun collegamento diretto con il reato, essendo il sequestro preventivo preordinato a evitare che, nelle more dell’adozione della confisca, i beni che si trovino, a qualunque titolo, nella disponibilità dell’indagato, possano essere definitivamente dispersi». Inoltre, ad avviso del Collegio, che molte altre volte si è espresso in questo senso, «si deve prescindere dall’epoca di acquisizione dei beni e risulta perciò del tutto infondata la censura relativa al fatto che i beni oggetto del sequestro non sarebbero stati aggredibili con il vincolo reale in quanto acquisiti antecedentemente alla condotta delittuosa ascritta al ricorrente».