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 2012  luglio 13 Venerdì calendario

L’ANTICA ARTE DELLA TAVOLA

Piramidi di frutta candita, pasticci di fagiano e pavone guarniti con le teste e le code dei volatili complete di piume variopinte, statue di zucchero, tovaglioli lavorati con preziose piegature secondo una tecnica ormai perduta, leggiadre coppe in vetro finemente istoriate, saliere incise nel lapislazzuli, argenti e ceramiche, tovaglie di broccato, alberi da cui pendono mele scolpite nel marzapane. È tutto un susseguirsi di meraviglie la mostra «Magnificenze a tavola. Le arti del banchetto rinascimentale» (catalogo De Luca Editore d’ Arte) che si snoda tra i saloni affrescati di Villa d’ Este a Tivoli, arricchita da quadri d’ epoca che rappresentano nature morte e dall’ arazzo con «Il convito di Giuseppe con i fratelli», prestato dal Palazzo del Quirinale. Curata da Marina Cogotti e June di Schino, ricostruisce quell’ arte raffinatissima del ben servire che raggiunse l’ apice fra Quattrocento e Cinquecento, ma che continuerà ad essere praticata fino alle soglie dell’ Ottocento. Il percorso inizia con una selezione di antichi trattati della gastronomia, dell’ imbandigione e della dietetica, e culmina con una tavola imbandita, alla maniera di quelle allestite da principi, cardinali e signori dell’ epoca per esprimere, attraverso l’ esibita magnificenza, il proprio potere. Tavole che, nonostante la ricercatezza delle vivande, non avevano lo scopo principale di far mangiare gli ospiti, ma quello di stupirli. Più che pranzi, i sontuosi convivi offrivano spettacoli in cui i commensali diventavano attori e spettatori allo stesso tempo. Non a caso, nel programma, grande importanza era riservata alla musica, all’ arte, al teatro. Artisti come Leonardo da Vinci, Tiziano, Giulio Romano e Benvenuto Cellini furono coinvolti per disegnare vasellame in argento e ceramica o per progettare meravigliose architetture effimere. Le curatrici, nel ricreare la tavola che splende al centro dell’ ultimo salone, hanno seguito i convivi offerti da Ippolito II d’ Este, il cardinale che fece costruire la villa di Tivoli famosa per i suoi giardini con i giochi d’ acqua. Ma i più stupefacenti, tra gli spettacolari banchetti del Rinascimento, pare siano stati quelli allestiti durante le feste per il matrimonio di Eleonora d’ Aragona, figlia del re di Napoli, con Ercole I d’ Este nel maggio del 1473. Per tre mesi - tanto durò il viaggio degli sposi da Napoli a Ferrara, attraverso Roma, Siena, Firenze e Bologna - un’ immensa macchina trionfale con più di cinquecento persone tra nobili e damigelle, cuochi e credenzieri, musici e coppieri, medici e palafrenieri contribuì a creare una susseguirsi di meraviglie gastronomiche durante il percorso. In che modo questa macchina riuscisse a funzionare perfettamente, è spiegato nei trattati esposti all’ inizio della mostra. Il merito era di un’ organizzazione di tutti i servitori secondo una precisa gerarchia. Il servizio a tavola era affidato agli «offiziali della bocca», dove la personalità predominante era rappresentata dallo scalco. Figura così importante da essere spesso di nobile lignaggio, lo scalco coordinava ogni aspetto del banchetto: il lavoro del cuoco, del credenziere, del trinciante, del coppiere e del bottigliere. Il mestiere più appariscente era però quello del trinciante, ovvero di colui che era addetto a tagliare le carni davanti ai commensali. Doveva farlo compiendo un acrobatico gioco nell’ aria, con movenze eleganti, magnetizzando l’ attenzione di tutti. Guai al trinciante che si appoggiava sul vassoio. Doveva affettare, smembrare e spartire secondo regole precise per ogni singolo cibo, dal pesce alla carne, dalla selvaggina alla frutta. Nel suo trattato «Il Trinciante», scritto nel 1581, Vincenzo Cervio racconta di un bravo professionista che con «un gioco di affabulazione mimica» «trinciava in aria il carciofo, la porchetta da latte, la mela rosa, il gambero». Tra gli incarichi del credenziere c’ erano la «divina piegatura» dei tovaglioli e il «trionfo di zucchero». Per riprodurli nella tavola allestita a Villa d’ Este, sono arrivati a Tivoli il catalano Joan Sallas e lo svedese Rolf Stalberg. Tra i pochi ricercatori al mondo di questo genere artistico, hanno lavorato qui una decina di giorni per creare pesci, tartarughe, torri con uccelli, archi di trionfo, statue di Cupido, confettiere decorate con grifi. Tutti in candido lino pieghettato o in zucchero e seguendo le regole dei maestri dell’ epoca, che creavano meraviglie come quelle descritte per le nozze di Maria dè Medici da Michelangelo Buonarroti il giovane (nipote del grande Michelangelo): «Un Liofante, et un Rinoceronte sotto dell’ altra, grandissimi di vero, pure di piegature vedevansi, gioiellati e fregiati in fronte, huomini sostener sopra in su gualdrappe piene di ornamenti moreschi, e maschere.».
Lauretta Colonnelli