Giusi Fasano, Corriere della Sera 13/07/2012, 13 luglio 2012
L’UOMO CHE PER PRIMO GUARDO’ OLINDO NEGLI OCCHI
Due e mezzo della notte fra l’11 e il 12 dicembre 2006. Nella caserma dei carabinieri di Erba (Como) si sfogliano vecchi fascicoli. Gli occhi del luogotenente Luciano Gallorini leggono nomi, scorrono racconti su beghe di cortile. Litigi furenti per i rumori, dispetti, scambi di insulti... Roba che tutt’al più merita l’intervento di una pattuglia per placare gli animi. Ma stavolta è diverso e per quanto possa sembrare tutto inverosimile, perfino assurdo, l’intuizione trova la sua strada: «Che sia in quelle liti il movente?». Il maresciallo Gallorini lo chiede a se stesso prima di farne parola con i suoi uomini. «Mi sembrava una cosa così grossa...».
Quattro morti e un ferito in fin di vita, ferocia, sangue ovunque, fra i cadaveri un bambino di due anni con la gola tagliata abbandonato sul divano mentre la casa bruciava. Negli annali della cronaca nera sarà «la strage di Erba», quella di Azouz Marzouk (marito e padre di due delle vittime) accusato ingiustamente del massacro mentre era a casa sua, in Tunisia. Ma adesso è notte fonda e siamo ancora a Erba, in caserma. Gallorini decide di mandare il suo vice, Luca Nesti, a casa di quei due delle denunce: il netturbino Olindo Romano e sua moglie Rosa Bazzi, professione domestica. «Perché non valutare anche questa?» sono d’accordo i due carabinieri.
Il giorno dopo i giornali avranno titoli tutti per il sospettato Azouz, ma gli accertamenti fra l’ora della strage (poco dopo le 20) e la notte fonda hanno già stabilito che il tunisino non c’entra nulla, quantomeno non con l’esecuzione della mattanza. Quindi le ipotesi sono ancora tutte possibili. Chi può essere stato così crudele da ammazzare a sprangate e coltellate la moglie di Azouz, Raffaella Castagna, il suo bambino Youssef, sua madre Paola Galli e la vicina del piano di sopra, Valeria Cherubini? Chi può aver abbandonato sul pianerottolo il marito di Valeria, Mario Frigerio, credendolo morto dopo averlo sgozzato?
La via dei ricordi riporta alla scena del delitto. Il luogotenente Gallorini stava cenando, il tg stava finendo. Dieci minuti dopo era in via Diaz, fra i suoi uomini, i vigili del fuoco, le luci delle ambulanze. «Se l’inferno esiste deve assomigliare molto a ciò che ho visto quella sera. Non riesco a immaginare cosa peggiore: pochissima luce, l’acqua che scendeva a fiumi dalle scale, la fuliggine che si appiccicava addosso, l’odore di fumo e della carne bruciata...Ricordo ogni dettaglio. Un team di psicologi ha poi tenuto dei corsi per aiutare chi è intervenuto a superare i traumi di quella barbarie». Li hanno seguiti tutti, esclusi i carabinieri. Eppure ripensandoci adesso Gallorini dice che «forse dovevamo seguirli anche noi» perché «ci sono storie e immagini che segnano per sempre e sarei bugiardo se dicessi che per me non è stato così».
Il processo a Olindo e Rosa (prima hanno confessato, poi ritrattato) si è chiuso con la condanna definitiva all’ergastolo. L’intuizione di quella notte si è rivelata giusta e Mario Frigerio, scampato alla morte per una malformazione congenita alla carotide, ha riconosciuto il suo mancato assassino: Olindo. Una delle giornate che Gallorini non scorderà mai è quella del suo colloquio con Frigerio in ospedale, quel filo di voce che pronuncia il nome di Olindo. «Io ho sospeso tutto e ho chiamato il magistrato. Il resto è tutto scritto nel processo, checché ne dicano quelli che mi hanno accusato ingiustamente di averlo spinto a fare quel nome».
Gallorini ha 58 anni, 40 passati con la divisa addosso e ancora un paio da vivere dietro la sua scrivania prima di lasciare. «Quando gli avvocati mi hanno attaccato, in aula, ho detto che io vengo da genitori modesti e onesti che nella vita hanno sempre lavorato. Ho spiegato che vengo dai loro buoni insegnamenti e non potrei mai accusare qualcuno sapendolo innocente. Sarebbe la débâcle della coscienza, come potrei guardare in faccia i miei figli? Ancora oggi ogni giorno penso e ripenso mille volte a quello che faccio durante il mio lavoro: avrò sbagliato qualcosa? Ho fatto la cosa giusta? A Erba abbiamo fatto quello che andava fatto, e siamo stati bravi».
Ogni tanto capita di riaprire lo scrigno dei ricordi peggiori: «Quel bambino sembrava un angioletto, si vedeva appena con quella poca luce, buttato lì sul divano... Quella serata mi ha cambiato, inutile negarlo. Non sono più io, da allora sono più taciturno, più pensieroso. E credo che sia così per tutti noi qui in caserma. Il superiore lo sa: dopo Erba abbiamo avuto difficoltà a tornare alla normalità. C’è stato un suicidio dopo circa un anno ed era la prima volta che davanti agli occhi ricompariva una scena cruenta, il sangue... è stato tremendo». È stato impossibile non rivedere Youssef, Raffaella, Paola, Valeria. E gli occhi di Olindo la notte del massacro: «Stralunati, impressionanti, pazzeschi. So bene che gli occhi non sono un indizio ma so anche che soltanto chi li ha visti può capirmi».
Giusi Fasano