Stefano Rodi, Sette 13/7/2012, 13 luglio 2012
E la nave va. Per dimenticare Schettino – La nave Concordia resta semisommersa sul fondale di fronte all’isola del Giglio e nella memoria collettiva
E la nave va. Per dimenticare Schettino – La nave Concordia resta semisommersa sul fondale di fronte all’isola del Giglio e nella memoria collettiva. È un peso, equivalente a quello di 600 Boeing 747 o di 100mila automobili, difficile da rimuovere, non solo sotto il profilo ingegneristico. A seconda di come andrà questa operazione che non ha precedenti nella storia, il costo minimo sarà di 300 milioni di euro mentre quello massimo nessuno, a oggi, è in grado di dirlo. In questa sciagura del mare, comunque decida la magistratura, ci sono stati comportamenti sciagurati che sono costati 30 vite (26 passeggeri e quattro membri dell’equipaggio) e due dispersi (un passeggero e un membro dell’equipaggio). Ma ci sono state anche, sicuramente, molte persone che hanno fatto il loro dovere e, in quella drammatica emergenza, anche molto di più: c’è chi ha messo a repentaglio la propria pelle per salvare quella di altri. E l’hanno salvata in 4.200, in un incidente che poteva invece assumere i contorni di un’ecatombe. Negli ultimi giorni si sono alzate nuove ondate contro la compagnia Costa Crociere, alzate dalle relazioni dei consulenti nominati dal giudice di Grosseto. «Alcuni sistemi di controllo sulla Costa Concordia non erano funzionanti… c’erano porte stagne aperte e mappe non approvate, ma l’anomalia più grave», ha scritto Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, «riguarda la scatola nera, in avaria dal 9 gennaio». La compagnia ha replicato punto su punto, smentendo tutto e rinviando di nuovo l’origine del disastro alla rotta sottocosta scelta arbitrariamente dal comandante Francesco Schettino, al quale sono stati intanto revocati gli arresti domiciliari. L’ardua sentenza su come e perché siano andate così tragicamente le cose sulla Concordia spetta ovviamente ai giudici, ma un fatto è sicuro: un comandante ha abbandonato la sua nave prima di quanto avrebbe dovuto fare e il problema per la Costa Crociere è stato quello di riprendere la navigazione non tanto in mare, quanto nella fiducia della clientela. Anche perché, un mese e mezzo dopo quell’“inchino” fatale al Giglio, arrivò un altro colpo basso: un incendio a bordo, al largo delle isole Seychelles, di un’altra nave della compagnia, con un nome mai così sbagliato: l’Allegra ha finito di solcare i mari, almeno per il momento. Dopo l’incidente. Mesi difficilissimi per la Costa Crociere spa, e per i suoi 24mila dipendenti provenienti da 70 Paesi diversi, con un iniziale crollo delle prenotazioni del 35%. «In quel periodo», ricorda il presidente, Pierluigi Foschi, «nessuno era in grado di prevedere cosa sarebbe successo. C’era la crisi economica con la quale già stavamo facendo i conti, e l’impatto di un evento unico come quello della Concordia non era quantificabile. L’unica cosa di cui ero sicuro, perché conoscevo la solidità finanziaria della società, era la nostra sopravvivenza. Il resto erano stime che indicavano in un 30% il possibile calo annuo delle presenze. Ce l’avremmo fatta lo stesso, ma per fortuna queste previsioni si sono rivelate molto più pessimistiche della realtà che si è poi verificata». Costa Crociere, a differenza di quanto accaduto alla sua nave, è riuscita a rialzarsi dal fondale: nel periodo di aprile e maggio ha raccolto un numero di prenotazioni più alto del 28% rispetto allo stesso periodo del 2011. Ma è l’intero settore delle crociere che nonostante, o forse paradossalmente grazie alla crisi economica, sta tenendo bene la rotta: nel 2011, secondo i dati diffusi pochi giorni fa dall’European Cruise Council, l’organizzazione che riunisce le principali compagnie crocieristiche europee, il complessivo giro d’affari, compreso l’indotto, del turismo marittimo ha contribuito all’intera economia europea per 36,7 miliardi di euro, +6% rispetto al 2010. Dal 2006 al 2011 le crociere hanno registrato una crescita del 54% e, in un continente flagellato dalla disoccupazione, spicca il fatto che gli occupati in questo settore siano passati dai 187mila del 2005 ai 315mila del 2011. E, per una volta, il nostro Paese è in testa alla classifica: 100.089 persone, il 31,7% del totale, lavorano infatti in Italia, davanti ai 63.834 dell’Inghilterra e ai 39.238 della Gemania. In un modo o nell’altro siamo ancora un popolo di navigatori, visto che l’Italia è il Paese che beneficia di più del turismo via mare. Un passeggero su tre, per un totale di quasi due milioni, si è imbarcato su una nave da crociera dai nostri porti e, con un totale di 6,5 milioni di visite, l’Italia si conferma la principale destinazione crocieristica d’Europa, con alcune mete fin troppo ambite: nella laguna di Venezia transitano oltre 600 grandi navi ogni anno, con gravi rischi per l’ambiente. Il “gigantismo”. Il turismo d’alto mare, sempre meno d’alto bordo, negli ultimi cinque anni ha avuto un boom e questa tendenza vale anche per il resto del mondo. Non è più un modo di viaggiare esclusivo com’era nel passato, è diventata una vacanza di massa, soprattutto per famiglie: spesso i bambini sotto una certa età non pagano. L’aumento esponenziale del numero di passeggeri ha comportato anche, per una logica di economia di scala, un effetto di “gigantismo” fino ad arrivare al record di due navi gemelle da 220 tonnellate l’una (il doppio della Concordia) che fanno rotta tra Usa e Caraibi. Il passo tra navi e città galleggianti è ormai diventato breve ma procedere in questa direzione, secondo Foschi, «non rientra nei piani della nostra compagnia». La Costa, per tornare a galla dopo il naufragio della Concordia, di fronte a un palcoscenico mediatico illuminato giorno e notte, ha fatto una cosa strana, almeno in Italia: ha deciso di star zitta o, comunque, di parlare il meno possibile. «Io ho rilasciato solo due interviste, una al Corriere e una alla Stampa», ricorda Foschi. Poi ha varato sette procedure per elevare il livello degli standard di sicurezza a bordo delle proprie navi: dall’addestramento degli ospiti che deve avvenire prima che la nave lasci il porto di imbarco al monitoraggio in tempo reale della rotta di tutte le navi della compagnia, in modo da evitare “inchini” più o meno nascosti, e poi una nuova formazione degli ufficiali per una gestione più condivisa del ponte di comando. Tutto questo, ovviamente, senza mettere in discussione il ruolo e il carisma del comandante, minato da Schettino, ma codificato da due ordinamenti: uno internazionale e l’altro italiano. Il primo, che si chiama Solas (Safety of life at sea) attribuisce al comandante l’unica autorità se esistono rischi per la sicurezza delle persone o di inquinamento dell’ambiente. Se esistono queste due condizioni, nessuno, né l’armatore né alcuna autorità politica, può dare ordini a un comandante: la sua è una delle ultime professioni del mondo moderno in cui è previsto l’esercizio del potere assoluto. Ma questo si regge su una regola che lo giustifica, lo equilibra, fa da contrappeso: il comandante è colui che, se la nave affonda, deve essere l’ultimo ad abbandonarla. E ce ne sono stati alcuni che hanno deciso di farlo, scegliendo di far coincidere la fine della propria vita con quella della propria nave. Senza bisogno di arrivare a questi estremi, se un comandate sale invece sulla scialuppa prima dei suoi passeggeri e dei suoi membri d’equipaggio, come ha fatto Schettino, al di là delle conseguenze, mina il credito che i comandanti delle navi hanno presso l’opinione pubblica. I marittimi italiani. «È vero. Tanto che io», commenta Foschi, «anche in mezzo alla crisi dei drammatici giorni dopo l’incidente, sono andato a una riunione di Confitarma (Confederazione italiana armatori) per portare parole di supporto alla figura dei marittimi italiani e, in particolare, dei comandanti. L’ho fatto per due ragioni: primo perché un individuo non può e non deve mai compromettere un’intera categoria e, secondo, perché la scuola di marineria italiana è una delle migliori del mondo, insieme a quella inglese, norvegese e olandese. I nostri marittimi che lavorano sulle navi di bandiera italiane sono una minoranza: la maggior parte lavorano per compagnie straniere e godono di una grandissima stima. La vicenda di Schettino, le telefonate pubblicate, hanno rischiato di compromettere questo credito conquistato in mare. I comandanti della Carnival Cruise Line (la compagnia americana di punta della corporation di cui fa parte anche Costa, ndr) sono tutti italiani, ma anche gli ufficiali e i direttori di macchina». Sono passati sei mesi dallo squarcio lungo 90 metri sulla chiglia della Concordia e molto più lungo nell’immagine di Costa Crociere. «In mezzo alla concitazione di quei giorni si è sentito e letto di tutto: che mancavano le scialuppe di salvataggio, che non c’erano salvagenti sufficienti, che c’erano clandestini a bordo, che sulle nostre navi usavamo lavoro minorile. Vorrei fosse chiara una cosa: la nostra è un’azienda che non ha mai lavorato in quel modo». Si capisce dal tono di voce che Foschi, adesso che la concitazione è passata, aveva piacere di ribadirlo e, su questo argomento, va avanti a tutta forza: «Noi non siamo un’azienda così: siamo volontariamente certificati, con la SA 8000 (standard internazionale che elenca i requisiti per un comportamento eticamente corretto delle imprese e della filiera di produzione verso i lavoratori, ndr), proprio per la salvaguardia delle persone a bordo delle nostre navi. I nostri fornitori devono certificare che non usano lavoro minorile e i nostri contratti di lavoro sono tutti approvati dall’Itf, che è il sindacato internazionale del trasporto che ha sede a Londra. Non è certo un amico degli armatori, eppure cita la nostra società come un esempio».