Andrea Malan, Il Sole 24 Ore 13/7/2012, 13 luglio 2012
SE LA «FABBRICA EUROPA» PRODUCE TROPPO
L’annuncio della chiusura della fabbrica Peugeot di Aulnay era largamente atteso, ma potrebbe avere un effetto importante sul settore auto in Europa. Il crollo delle vendite (3 milioni di unità in meno in Europa occidentale fra il 2007 e il 2012) ha accentuato il problema cronico dell’eccesso di capacità produttiva; le fabbriche del Vecchio continente, cioè, sono in grado di produrre molte più auto di quante il mercato sia attualmente in grado di assorbire.
In primo luogo, i numeri del mercato. Nei primi cinque mesi del 2012 le vendite in Europa (Ue più paesi Efta) sono scese del 7,7% (ma del 19% in Italia e del 17% in Francia). I costruttori cosiddetti generalisti (che oltre a Fiat comprendono i due francesi, Opel e la filiale europea di Ford) sono i più penalizzati: sempre nel primo semestre Psa Peugeot e Opel hanno perso il 15%, il gruppo Fiat il 16,6%, Renault (con Dacia) il 19,4 per cento. Meglio va ai big tedeschi: la marca Volkswagen è a -2,8%, Bmw stabile, Mercedes e Audi guadagnano. La crisi colpisce meno le fasce più ricche del mercato. Grazie anche all’export delle loro vetture di alta gamma, i tedeschi hanno quasi tutti gli impianti che girano oltre al 90% della capacità produttiva.
La soglia sopra la quale si comincia a guadagnare è compresa tra il 75 e l’80%; per questo ha destato stupore fra gli analisti constatare che Psa con un tasso di utilizzo al 76% "riesce" a bruciare 200 milioni di euro al mese; non va dimenticato però che al calo dei volumi in Europa si è aggiunta (non solo per Psa) una forte diminuzione dei prezzi effettivi di vendita al netto degli sconti. Come mostra il grafico, Francia e Italia sono tra i Paesi dove l’utilizzo della capacità è minore; frutto del calo più significativo delle vendite in questi due Paesi e della minor capacità di esportare in mercati extra-europei.
Le esportazioni dall’Europa sono finora state uno strumento limitato: secondo Giacomo Mori, director di AlixPartners, «risolvere il problema con l’export è un po’ una chimera. Le esportazioni da un’Europa dove i costi di produzione sono alti possono avvenire solo in volumi limitati, e insufficienti dunque a saturare gli impianti. Solo i produttori di alta gamma sono stati in grado di esportare in volumi più consistenti e in maniera profittevole».
Tutti i costruttori hanno finora cercato di adottare misure meno drastiche delle chiusure: dalla cassa integrazione all’eliminazione di turni di produzione. Ma il problema è stato aggravato dal fatto che durante gli anni della crisi (dal 2007 in poi) sono stati chiusi tre impianti in Europa – Termini Imerese, Anversa (Opel) e Trollhattan (Saab) – ma ne sono stati inaugurati otto, di cui sette in Russia e Ucraina e uno in Serbia (quello di Fiat).
La chiusura di un impianto automobilistico è storicamente un tabù in Europa: troppo importante il settore per il Pil di molti Paesi e per l’occupazione (tanto più se si considera anche l’indotto). Aulnay sarebbe la prima fabbrica chiusa in Francia da vent’anni, e non è un caso se la stessa Peugeot ha chiuso qualche anno fa un impianto in Gran Bretagna, e la tedesca Opel lo ha fatto nel 2010 in Belgio. Anche per questo, da quando ha preso il timone dell’Acea – l’associazione dei costruttori di auto europei – Sergio Marchionne ha più volte sollecitato una soluzione concordata a livello Ue, sulla falsariga di quelle adottate decenni fa per settori come l’acciaio. In un recente report gli analisti del Credit Suisse hanno analizzato in dettaglio la crisi dei costruttori generalisti europei e hanno lanciato una provocazione: «Come fece il Governo Usa nel 2008/09, crediamo che la Commissione europea dovrebbe nominare uno "zar dell’auto" per guidare i processi di riassetto e affrontare le sfide del settore». La crisi del 2008/09, che negli Usa portò Gm e Chrysler sull’orlo della bancarotta, fu superata con l’intervento anche finanziario del Governo ma a prezzo di una durissima cura dimagrante: 18 stabilimenti chiusi.
Gli appelli di Marchionne sono probabilmente destinati a restare inascoltati: troppo divergenti gli interessi fra le diverse categorie di costruttori. Per lo stesso motivo, difficilmente le autorità Ue (peraltro alle prese con dossier ancor più scottanti) scenderanno in campo. La ristrutturazione annunciata da Psa potrebbe aprire la strada ad altre? Mori è del parere che «questa vicenda potrebbe essere un nuovo precedente importante, dopo Anversa e Termini Imerese, in un’Europa che ha livelli di protezione del lavoro elevati. È importante capire quale sarà davvero l’atteggiamento del Governo francese, e anche quale tipo di riconversione potrà essere realizzato».
Non è detto, però, che la crisi del settore non sfoci in un ritorno del protezionismo – sia verso l’esterno che fra un Paese europeo e l’altro. Gli Stati europei potrebbero procedere in ordine sparso, come già nel 2008/09 quando ciascuno intervenne con incentivi alla domanda o aiuti ai costruttori. E non è un caso che proprio in Francia sia circolata la proposta di una supertassa sulle auto di lusso (per lo più tedesche).