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 2012  luglio 13 Venerdì calendario

PER GLI AMICI DELLE BANCHE I SOLDI NON MANCANO MAI

La parola chiave è inglese: standstill. Esprime uno stato di immobilità, un blocco. Ed è molto usato dal mondo della finanza, che ama dissimulare le sue furbate con un gergo esotico che nobilita. Guardate come è facile, traducendo in italiano, far emergere certe miserie morali. Lo ha fatto due giorni fa il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che all’assemblea annuale dei banchieri non ha parlato in inglese: “Le politiche di affidamento devono essere basate sulla solidità dei progetti imprenditoriali, non su relazioni e legami che ne prescindano”. Le banche dunque prestano i soldi agli amici degli amici dei banchieri, prescindendo dalla solidità dei progetti industriali.
Finanziare amici con progetti non solidi porta inevitabilmente alla bancarotta. Ma al momento cruciale, per evitare il disastro, si fa ricorso allo standstill, il cui momento magico è il comunicato stampa: tra la società X e le numerose banche creditrici è stato raggiunto un accordo (ma di norma si preferisce agreement, più figo) di standstill. In italiano lo standstill è molto più banale. La società X deve rimborsare alle banche tot milioni di euro entro domani, 14 luglio 2012. In seguito all’agreement resta stabilito che la scadenza è rinviata di uno, due o tre anni, magari fino al 14 luglio 2015. Perché le banche fanno questi apparenti autogol? Loro lo sanno, noi possiamo solo capirlo. Per ottenere un trattamento che farebbe comodo a migliaia di imprenditori italiani occorrono due requisiti: una ramificata rete di amicizie e un debito di grosse proporzioni. L’ampiezza del debito serve a giustificare il banchiere: “Ho un credito di 380 milioni di euro verso la società X, se la faccio fallire perdo tutto”, vi dirà con lo sguardo del saggio, preferibilmente timorato di Dio, “rifinanziandola salvo il mio investimento”. Una tecnica che di fatto serve a scavare buche sempre più profonde.
QUANDO il debito crescente diventa insostenibile, le banche hanno un sistema micidiale per nascondere il problema. Trovano un imprenditore rampante e gli prestano una montagna di denaro per comprare a prezzi stellari il patrimonio di quello che sta per fallire. Disinnescano una bomba e ne innescano un’altra, molto più potente, ma guadagnano qualche anno. È quello, per esempio, di cui è stato accusato Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, nella vicenda della vendita della Eurolat da Cirio a Parmalat. Sforzo generoso ma inutile: Sergio Cragnotti e Cali-sto Tanzi sono finiti entrambi in galera e in bancarotta, Geronzi sotto processo. La bancarotta va evitata soprattutto perché fa finire le carte contabili in mano a magistrati e Guardia di Finanza. L’esperienza insegna che il vaglio giudiziario quasi sempre rivela i dettagli di quelle inconfessabili complicità denunciate da Visco.
Guardate i cinque signori nelle foto. Li potremmo definire i “signori dello standstill”; sono accomunati dai loro stretti rapporti con il mondo delle banche. Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps, è addirittura padrone del Monte dei Paschi. L’anno scorso la Fondazione si è indebitata per un miliardo per partecipare all’aumento di capitale della banca controllata, e le altre banche hanno erogato il prestito senza chiedere a Mancini come avrebbe mai potuto ripagarlo. Infatti nel giro di mesi Mancini ha ammesso di non poter ripagare. Standstill.
ROMAIN ZALESKI, franco-polacco trapiantato a Brescia, è un caso fantastico. Come scrisse l’autorevole Sole 24 Ore, ha creato un solo posto di lavoro, quello della sua segretaria, è riuscito a farsi dare da varie banche 6,3 miliardi per giocare in Borsa. Quella cifra era quasi l’1% di tutti i crediti bancari alle imprese italiane, che sono 4 milioni. Intesa Sanpaolo da sola gli ha dato 1,8 miliardi senza chiedergli nessuna garanzia. Lui ha comprato però il 5% di Intesa, che valeva cinque anni fa 4 miliardi, ora vale 800 milioni. Sì, perché con la crisi gli sono crollati i titoli che aveva comprato, e gli sono rimasti tanti debiti e poco patrimonio. Standstill.
Di Salvatore Ligresti sappiamo molto dopo che il dissesto del suo gruppo immobiliare-assicurativo è diventato tale da costringere Mediobanca, da sempre sua protettrice e finanziatrice, a inventare l’acrobatica fusione tra Fonsai e Unipol per prendere tempo e rinviare la resa dei conti. Ma non bisogna dimenticare che Ligresti è anche azionista di Mediobanca e di Unicredit. Come Luigi Zunino, che è arrivato ad avere 3 miliardi dalle banche per le sue spericolate speculazioni immobiliari, fino a che le banche, per salvarlo, sono diventate proprietarie della sua Risanamento. Così fanno lo standstill agrement con se stesse.
Ci vogliono relazioni, ma anche esperienza. Come insegna Francesco Bellavista Caltagirone, coinvolto negli anni ‘70 nello scandalo bancario Italcasse con i fratelli Camillo e Gaetano (quelli della famoso “A Fra’, che te serve?”), e perfettamente inseritom quasi trent’anni dopo, nei maneggi di Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi per conquistare l’Antonveneta. I furbetti del quartierino passano, i miliardi di debiti restano.