
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il tribunale di Parma ha condannato Calisto Tanzi a 18 anni di carcere per il crac Parmalat. Tanzi ha commentato: «Non mi aspettavo una sentenza così severa». Il crac risale al 2003. Un buco da 14 miliardi di euro, realizzato ai danni di 85 mila piccoli risparmiatori con la complicità di molte banche soprattutto estere (il 70 per cento straniere, il 30 per cento italiane). Con Tanzi sono state condannate – dopo sei ore di camera di consiglio – altre 14 persone. Tra queste l’ex direttore finanziario dell’azienda Fausto Tonna, celebre per il cattivo carattere, a cui sono stati comminati 14 anni; e il fratello dell’imputato principale, Giovanni Tanzi, che ha avuto dieci anni e mezzo. È una condanna di primo grado, quindi l’ex patron del Parma calcio, che ha 72 anni, non va per ora in cella. I suoi avvocati hanno annunciato ricorso. Sulle spalle di Tanzi pesa già una condanna a 10 anni inflittagli dal tribunale di Milano per i reati commessi in Borsa, e legati alla medesima vicenda. A Parma, l’accusa aveva chiesto che gli dessero vent’anni e s’è dichiarata soddisfatta della sentenza.
• Com’è la storia, che non me la ricordo più?
Alla fine del 2003 Parmalat avrebbe dovuto rimborsare un bond da 150 milioni di euro. Per tranquillizzare tutti quelli che dubitavano sulla capacità dell’azienda di restituire il dovuto, Tanzi mostrò l’estratto conto di un deposito della sua controllata Bonlat presso la Bank of America. Questo estratto conto certificava una liquidità «immediatamente disponibile» di 3,95 miliardi di euro. Ma, poche ore dopo, la Bank of America smentiva l’esistenza di quel conto. Il disperato Tanzi e il suo direttore finanziario, il terribile Fausto Tonna, avevano costruito l’estratto conto a Collecchio, fabbricando un falso con uno scanner e una stampante a colori. Era il 17 dicembre 2003.
• Sembra piuttosto un film comico.
Florio Fiorini, noto pirata della finanza anni Settanta-Novanta, commentò poi: «Nemmeno io ci sarei arrivato. Roba davvero da menti contadine».
• I bond dei privati non sono emessi con qualche garanzia? Inoltre: non c’è sempre una banca dietro?
Giusto. Tanzi però aveva avuto molte volte il permesso di emettere bond senza garanzie, con l’intesa che quei titoli sarebbero rimasti nelle cassaforti degli istituti di credito, cioè non sarebbero stati venduti al pubblico. Invece, le banche li hanno piazzati a destra e a sinistra, senza ritegno, fin quasi agli ultimi giorni. Deutsche Bank, tanto per fare un nome, consigliava obbligazioni Parmalat ancora a ottobre 2003, cioè due mesi prima della fine. Le banche hanno una forte responsabilità nel default. Enrico Bondi, il grande manager che prese in mano l’azienda in quel momento, ha recuperato da una trentina di banche sparse in tutto il mondo due miliardi e 160 milioni. I risparmiatori hanno recuperato quasi il 70 per cento del loro investimento. Lei sa che oggi Parmalat è un gioiello. Distribuisce dividendi e ha tanti soldi in pancia da potersi permettere di comprare altre aziende all’estero.
• In che consiste, esattamente, la colpa delle banche?
Quando si trovò davanti ai giudici come “testimone esperto”, Bondi spiegò: «I nostri revisori hanno ricostruito in 24 ore tutto quello che le grandi banche e le autorità di controllo non avevano capito nei 14 anni precedenti». Voleva dire, naturalmente, tutto ciò che «avevano fatto finta di non capire». Parmalat era già tecnicamente fallita alla fine degli anni Ottanta e fu adoperata dalle banche come discarica di aziende decotte. Il sistema era questo: il signor X, proprietario dell’azienda A, deve dare alla Banca 50 miliardi di lire e non li ha. La Banca va allora da Tanzi – in pratica un suo schiavo – e gli dice: «Comprati questa azienda A per 50 miliardi, così il signor X potrà restituirci i soldi». Tanzi: «E dove li prendo 50 miliardi?». Banca: «Ti diamo noi 70 miliardi, attraverso un bond che emetterai come Parmalat. Ti restano in tasca pure 20 miliardi». La Banca rientrava dei soldi e quando arrivava l’’obbligazione Parmalat la rifilava ai clienti. Inoltre lucrava alla grande sulle commissioni. Bondi ha mostrato che alla fine le banche hanno preso da Parmalat più soldi di quelli che hanno dato.
• Non sarebbe giusto processare anche le banche?
Si vedrà a Milano come andrà a finire questa parte della storia, che ha, tra le altre, una grossa incognita ancora da svelare. Tanzi ha certamente un tesoretto da qualche parte, probabilmente in Sudamerica (quando seppe che gli avrebbero messo le manette fece prima un misterioso giro laggiù). Gli investigatori hanno finora scovato quadri che valgono più di cento milioni (Van Gogh, Picasso eccetera). Il ministero della Giustizia ha poi ottenuto lo sblocco, l’anno scorso, di un conto corrente intestato a un nome fasullo. Due milioni di dollari. Ma secondo le voci più accreditate Tanzi terrebbe all’estero capitali ben più cospicui, si parla addirittura di tre miliardi di dollari. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 10/12/2010]
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