GIANLUCA PAOLUCCI, LA Stampa 10/12/2010, pagina 2, 10 dicembre 2010
Bondi e il “sistema” che ha fatto scuola - Lo schivo Enrico Bondi, nelle poche occasioni che ne ha parlato in sette anni, ha dato il merito allo «sforzo di sistema»
Bondi e il “sistema” che ha fatto scuola - Lo schivo Enrico Bondi, nelle poche occasioni che ne ha parlato in sette anni, ha dato il merito allo «sforzo di sistema». Sforzo notevole, visti i risultati. Il 18 dicembre del 2003, quando Enrico Bondi arriva a Collecchio e il caso Parmalat diventa il più grande crac della storia della finanza europea, il gruppo aveva oltre 14 miliardi di indebitamento netto e nemmeno un euro in cassa. Nel mondo dava lavoro a 36 mila persone, con un fatturato di 5,8 miliardi e un margine di appena 150 milioni. Passati sette anni, si appresta a chiudere l’anno con un fatturato di circa 4 miliardi e un margine di quasi il dieci per cento. In cassa, al posto delle carte taroccate dal ragionier Fausto Tonna con lo scanner, ci sono poco meno di 1,4 miliardi di euro che la società di Collecchio potrebbe utilizzare per comprare qualche concorrente e tornare ad espandersi. Lo «sforzo di sistema», come lo chiama il manager aretino che ha nel suo curriculum anche casi come il gruppo Ferruzzi, non ha prodotto solo questo. Ha avviato cause in mezzo mondo contro le banche e le istituzioni finanziarie in qualche modo «complici» della fabbrica dei tarocchi di Collecchio, arrivando a chiudere più di trenta transazioni e ad incassare un totale di 2,1 miliardi che sono serviti per far ripartire la società, garantire investimenti e posti di lavoro e pagare i creditori. Ha restituito almeno una parte dei soldi ai risparmiatori che avevano comprato i famigerati bond Parmalat, sotto forma di azioni della «nuova» società. Nel frattempo, chi ha tenuto quelle azioni ha anche incassato dei bei dividendi: 780 milioni di euro in totale fino ad oggi. I giornali di quel diciotto dicembre, data di morte della Parmalat dei Tanzi, «sparano» la notizia arrivata nella tarda seratadel giorno prima nelle redazioni e proveniente da New York: i quattro miliardi di liquidità che avrebbero dovuto trovarsi in un conto corrente presso la Bank of America di New York non c’erano proprio. Non esistevano, né erano mai esistiti. Il fax di Bank of America arrivava al culmine di dieci anni di bilanci taroccati, di cattiva gestione industriale, di soldi spesi in avventure discutibili dal calcio al turismo e di acquisizioni finanziate dalle banche e scaricate sui risparmiatori con le emissioni di obbligazioni. Quel 18 dicembre saranno ben 100 mila quelli che si scopriranno truffati dalla fabbrica dei falsi di Tanzi, Tonna & c. Bondi arriverà a Collecchio quattro giorni dopo, il 22, come amministratore delegato voluto dalle banche creditrici. La nomina a commissario straordinario, già decisa, verrà formalizzata solo il giorno dopo. Chi era presente racconta che il primo giorno a Collecchio il manager lo passò a parlare con i rappresentanti dei sindacati, spiegando loro che l’unica garanzia che poteva dare loro era la reciproca fiducia. Solo così, con la reciproca fiducia, sarebbe stato possibile evitare il fallimento. Se il latte non fosse mancato dai supermercati, forse era possibile continuare a lavorare. Altrimenti, sarebbe stata la fine del marchio e con esso del lavoro delle migliaia di operai e impiegati. I dipendendeti gli hanno dato credito e a distanza di anni non se ne sono pentiti. Lo «sforzo di sistema» al quale fa riferimento Bondi non si limita a questo, ma anche a un quadro normativo chiaro ed efficace. In pochi giorni l’allora ministro Antonio Marzano presenta un decreto che va ad emendare le norme per la procedura fallimentare, poi diventato la Legge Marzano, fatto su misura per il salvataggio della Parmalat. In presenza di grandi gruppi industriali, stabiliva una serie di procedure d’urgenza per garantire la sopravvivenza delle attività. E, da ultimo, lo «sforzo di sistema» (peraltro ben retribuito: a Bondi sono andati in questi anni un totale di 32 milioni di compensi come commissario delle oltre 20 società coinvolte nel crac) ha fatto scuola. Basta vedere cosa sta succedendo a New York in questi giorni, con il liquidatore delle attività di Bernie Madoff - un buco da 50 miliardi di dollari, più di tre volte Parmalat - che ha avviato una serie di cause contro le banche conniventi o quantomeno troppo distratte con la sua truffa. Irving H. Picard, il liquidatore, ha chiesto 9 miliardi al colosso britannico Hsbc, altri quattro alla vecchia Lehman, altri ancora a Ubs, Citigroup, Union de Banque Privée e un’altra sfilza di grandi istituzioni finanziarie. Un modello made in Italy che per una volta ha fatto scuola.