Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 10 Venerdì calendario

I GOL DELLE RAGAZZE AFGANE IN CAMPO TRA GLI ELICOTTERI

Lo scorso martedì, alle ragazze della nazionale afghana di calcio femminile non restavano che due giorni di allenamento prima del loro primo incontro a livello internazionale. Le giocatrici si stavano alternando tra tiri in porta e parate, o, disposte in cerchio, facevano a turno a dribblare, quando alcuni soldati armati hanno fatto irruzione in campo, attraverso un cancello laterale, ordinando loro con garbo di farsi da parte.
Sopra le loro teste si è udito allora il possente rombo di un elicottero in avvicinamento, le cui pale hanno creato un vortice di terra e detriti: la Nato era tornata a rivendicare la propria piattaforma di atterraggio, obbligando le giocatrici ad abbandonare l´unico luogo della capitale in cui è possibile per loro giocare senza correre rischi.
«Odio gli elicotteri, ma non esiste un altro posto dove poter giocare: verremmo attaccate», dichiara Khalida Popal, dirigente della federcalcio femminile, nonché una delle senatrici della squadra. Gioca in difesa, ma quando si tratta di promuovere il calcio femminile è un´instancabile "punta". «È il mio modo di darmi da fare», spiega. «Vogliamo mandare un messaggio e dimostrare al mondo che le donne possono giocare a pallone, studiare e lavorare».
Per le donne afghane dedicarsi a tali attività non è certo facile. E lo sport, in particolare, rimane una passione difficile da assecondare. Dopo essere stato completamente bandito all´epoca dei talebani, in Afghanistan lo sport femminile si sta lentamente riaffermando, seppure con discontinuità e osteggiato dalla carenza di fondi, dalle incertezze e, soprattutto, dalla mancanza di luoghi dove potersi allenare tranquillamente - in una società dove anche la più modesta esibizione del proprio corpo è spesso considerata un reato sociale. «Ovunque andiamo ci sentiamo dire: "Perché giocate a calcio? Non è uno sport per ragazze´», afferma Popal.
In Afghanistan, ventidue sport vantano una rappresentanza femminile a livello nazionale; si tratta per lo più di squadre di recente formazione. Shukaria Hikmat, che presiede il Comitato olimpico femminile afghano, ricorda che un´unica donna afghana partecipò ai Giochi del 2008 (nell´atletica leggera), mentre a quelli del 2004 presero parte due atlete.
Sul fronte maschile invece, l´Afghanistan è riuscito ad affermarsi con risultati di tutto rispetto: quelli del cricket sono considerati eroi nazionali, ancor più dopo la recente vittoria sulla Scozia, mentre in ambito asiatico la squadra di tae kwon do è una vera e propria potenza.
Ieri la squadra di calcio femminile è volata in Bangladesh per giocare la sua prima partita ufficiale internazionale. «Gareggiare a questo livello internazionale è già un successo», afferma Wahidullah Wahidi, l´allenatore. Soprattutto dal momento che le calciatrici afghane giocheranno contro squadre provenienti da Paesi in cui il calcio femminile è una realtà consolidata da tempo.
La squadra afghana deve fare i conti con alcune condizioni svantaggiose: il campo di calcio della base Nato di Kabul, l´unico luogo dov´è possibile allenarsi, è accessibile solo tre volte a settimana, elicotteri permettendo. E questo perché, in seguito all´inaspettata affluenza di spettatori intervenuti ad un´amichevole contro il Pakistan, il presidente Hamid Karzai ha ordinato che il campo fosse messo a disposizione delle giocatrici.
Capitano della squadra è Roya Noori, una liceale di sedici anni, piccola di statura ma dalle gambe possenti. Quattro delle giocatrici di punta vivono in America, e prima del torneo del Bangladesh non hanno avuto modo di allenarsi insieme al resto della squadra. La divisa della nazionale è un´assortita varietà di capi scompagnati, tra i quali non figurano pantaloncini né maglie a maniche corte. Nella maggior parte dei casi però, le giocatrici rinunciano a coprirsi la testa con il velo - un capo che in Afghanistan è indispensabile indossare in pubblico - perché troppo scomodo. «Potrebbe essere pericoloso», afferma Popal: «Un´avversaria potrebbe aggrapparvisi e strangolarti».
Popal, che ha ventitré anni e studia ingegneria, proviene da una famiglia tradizionale di etnia pashtun. Ai tempi del liceo, quando iniziò a nascere in lei la passione per il calcio, padre e fratelli le vietarono di iscriversi a una società. Nel Paese esistono ventuno club di calcio femminile, quasi tutti con sede nella capitale. «Li presi per sfinimento, e alla fine accettarono», racconta Popal. Da allora sono trascorsi cinque anni, e «adesso sono molto orgogliosi di me». Ma anche preoccupati: in quanto portavoce di spicco del calcio femminile, la ragazza racconta di aver ricevuto minacce di morte e di essere spesso insultata per strada.
«È una questione di diritti civili», dichiara Wahidi. «Lo sport non dovrebbe essere una faccenda per soli uomini. Il problema è che l´ottantacinque percento della popolazione del Paese è analfabeta, e non è in grado di capire».
(copyright New York Times-
la Repubblica
traduzione di Marzia Porta)