Orazio Carabini, Il Sole 24 Ore 10/12/2010, 10 dicembre 2010
LA VENDETTA DEL RISPARMIO TRADITO
Le due fazioni sono già all’opera: anche sulla sentenza del processo Parmalat l’Italia è destinata a dividersi. Su quei 18 anni a Calisto Tanzi e sulle pene per gli altri 13 condannati per bancarotta fraudolenta si aprirà "il dibattito".
Qualcuno dirà che la sentenza è sacrosanta, che 18 anni sono nulla se confrontati con i 150 inflitti a Bernie Madoff (il blasonato truffatore americano che ha fatto sparire 50 miliardi di dollari dei suoi clienti investitori), che i successivi gradi di giudizio attenueranno le pene, che c’è il rischio di far scattare i tempi della prescrizione.
Altri diranno che la punizione è spropositata, che nel caso di Tanzi si aggiunge ai 10 anni per aggiotaggio, che si rischiano più anni con una bancarotta che uccidendo l’amante, che ha poco senso prendersela con una persona anziana a tanti anni dal reato, che i pubblici ministeri contestano un certo tipo di reati, tra cui la bancarotta e l’aggiotaggio, per ottenere condanne esemplari.
Certo, per gli standard italiani il tribunale di Parma ha avuto la mano pesante. Le pene per i Tanzi, Calisto e Giovanni, e per il direttore finanziario Fausto Tonna contendono il primato, nel settore dell’economia, a quelle comminate nel 1992 a Umberto Ortolani (19 anni), a Licio Gelli (18,5 anni), a Flavio Carboni (15 anni) e a molti altri per il crack del Banco ambrosiano. Tutte abbondantemente ridotte dalla Corte d’appello e limate dalla Cassazione.
Le due vicende sono molto diverse. È inutile fare confronti o compilare classifiche sulle dimensioni della truffa. Va però ricordato – perché dopo sette anni si rischia di dimenticare – che i casi Parmalat e Cirio (a proposito, qualcuno ha sentito parlare del processo a Sergio Cragnotti in corso a Roma?) hanno scavato un solco tra i risparmiatori e il mondo della finanza.
Il crack del gruppo alimentare emiliano ha coinvolto alcune delle più importanti banche, italiane e internazionali, è passato sotto il naso delle autorità di vigilanza e ha visto come protagonista uno dei più affermati imprenditori, lodato dalla stampa, coccolato dalla politica, benvoluto dalla gente per il suo impegno nel calcio, cooptato nei consigli di amministrazione di grandi gruppi bancari. Calisto Tanzi sarebbe dovuto essere un modello di correttezza e di trasparenza. E invece dietro la maschera dell’imprenditore di successo si celava un meschino truffatore che ha fatto sparire circa 14 miliardi di euro. Danneggiando per di più non tanto le banche creditrici ma i risparmiatori cui, con raro tempismo, le banche avevano scaricato i loro crediti.
E allora che accetti questi 18 anni il degradato Cavaliere, senza lamentarsi. Tanto la corte d’appello gli farà lo sconto, la Cassazione pure e la sua età, ormai avanzata, gli eviterà le scomodità del carcere. Sempre che prima non arrivi la prescrizione a risolvere i suoi problemi. Si consoli pensando al suo coetaneo Bernie Madoff che ha da poco iniziato a scontare 150 anni dopo un processo durato sei mesi. O alle sentenze con cui i tribunali americani hanno punito i manager di Enron.
L’Italia ha avuto la sua sentenza esemplare ma deve riflettere su come contrastare la tendenza a delinquere dei "colletti bianchi", i più assidui colpevoli dei reati di truffa e di appropriazione indebita. Manager, banchieri, finanzieri, bancari, promotori troppo spesso la fanno franca anche perché le probabilità di arrivare in tempo a sentenze definitive sono minime. E così, da un lato, l’incentivo alla truffa aumenta quando il rischio di essere smascherati e condannati è basso. Dall’altro i magistrati sono portati a contestare reati più gravi, come la bancarotta, per evitare la trappola della prescrizione e per ottenere punizioni adeguate alla colpa.