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 2010  dicembre 10 Venerdì calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

27 luglio 2005 I furbetti del telefonino

Nel nuovo millennio i tabulati telefonici rivelano all’italiano medio che i potenti parlano come lui. E hanno i suoi stessi vizi, i suoi stessi gusti, la sua stessa allergia per le regole, con un’aggiunta di arroganza dettata dallo status. Sono i «furbetti del quartierino» e prendono il nome dalla battuta intercettata al telefono dell’odontotecnico romano Stefano Ricucci. Uno che negli anni Sessanta avrebbe fatto l’attore nei film di Dino Risi e ora invece si ritrova alla testa di un inghippo di finanzieri che non hanno mai prodotto null’altro che soldi in vita loro. I furbetti puntano alla conquista della banca Antonveneta e di tante altre belle cose, fra cui Il Corriere della Sera. La loro mente è il presidente della Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani detto Gianpi, che vanta un rapporto privilegiato con Antonio Fazio e con sua moglie, da lui definita «il nostro aquilone». Fazio è il governatore della Banca d’Italia, cioè l’arbitro. Ma, nel derby di potere fra i furbetti e un gruppo di banchieri olandesi, parteggia nascostamente per i primi. Pare che allo stesso modo si comportino gli arbitri veri e le intercettazioni di Luciano Moggi e di altri mammasantissima del pallone sfociano in un’inchiesta che materializza il sogno di mezza Italia e l’incubo dell’altra metà: la Juventus in serie B. Ma se persino gli arbitri sono di parte, di chi ci si può ancora fidare? Non di Calisto Tanzi, il furbetto del latticino, che sfrutta la frenesia finanziaria dei risparmiatori per incassare soldi in cambio di carta straccia: il crac Parmalat, come lo scoppio della «bolla» di Internet, è il sintomo di un mondo avido e indebitato che vive al di sopra dei propri mezzi e che il fallimento di Lehman Brothers precipiterà nel caos.

Fra le tante tele(fo)novelas che allietano la crisi economica degli italiani, le più gettonate sono quelle a sfondo sessuale, in cui le donne prendono il posto delle mazzette e scaltri faccendieri procurano svago ai potenti in cambio di favori. Noblesse oblige, ad aprire le danze è il mancato re Vittorio Emanuele, intercettato mentre chiede garrulo a un certo Bonazza, il cui cognome è già un indizio: «C’ho tre quarti d’ora e volevo andare a puttane». Verrà accontentato, come i tanti sgherri del sottobosco politico e del sottoscala Rai che discorrono al telefono, con piglio da intenditori, di qualche «morta di fama» pronta a immolarsi sull’altare del maschilismo più retrivo per un’apparizione in tv: «È piccola, ma carina. Compatta come una Smart». La morale, si fa per dire, è che nulla sembra più distinguere le classi sociali, se non la ricchezza. E anche questo spiega perché tutti ormai puntino esclusivamente a quella.