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 2010  dicembre 10 Venerdì calendario

LETTERA DI MASSIMO D’AZEGLIO A LUISA BLONDEL D’AZEGLIO


Torino, 25 dicembre 1848
Cara Luisa,
Oggi - grazie a Dio - non c’è camera, ti scrivo senza lo stordimento dell’eloquenza de’ miei colleghi e voglio procurare di darti idea completa della situazione di qui. Prima di tutto è mutile che ti dica che tutto quanto succede ora in Italia è farina mazziniana, affare di sette. Se non si sapesse altrimenti, basterebbe vedere la sapienza politica del partito per riconoscerlo, e riconoscer il viso sotto la maschera. La costituente, i ministeri democratici sono ingegnose transizioni per arrivare alla repubblica. A Roma e Firenze la cosa potrebbe forse riuscire per 15 giorni, sempre però considerando che la repubblica passa di moda in Francia e in Germania appunto quando si vorrebbe proclamarla in Italia. È come i cappellini e i schalls; quando nessuno ne vuoi più a Parigi vanno ancora a Roma e Firenze. Quanto a Torino non dovete credere che tutto è perduto perché Gioberti, Buffa ec. sono al ministero. Non ho voluto formare il mio non solo perché non potevo far la guerra, e non volevo far la pace; ma anche perché è utile e necessario che la nazione assaggi i birbi e gli incapaci, ne soffra, se ne stanchi, non ne possa più, se ne vergogni; perché una politica vera, ragionevole trovi una base su cui appoggiarsi, giunga come una liberazione, e sia accettata dal pubblico come un benefìzio. Il pubblico in Piemonte può attraversar questa prova con meno pericolo che altrove in Italia. Il nostro carattere è tutt’altro che leggero, tutt’altro che poetico, e non soffre a lungo la ciarlataneria di nessun genere. L’armata è contraria al genere avocassier, ed il partito Gioberti ha avuto il talento di disgustarla, e d’urtare infinità d’interessi. Se c’è da temere per qualcheduno, non credo sia per i costituzionali ed i codini miei pari; ma invece per gli esaltati, e non mi stupirebbe che un bei giorno succedesse un coup de balai famoso; e ti dico io che non sarebbe affare lungo. Non dico che non possano accadere disturbi; che non si debba passare per qualche giorno spinoso; ma credo poter assicurare che non accadrà mai niente di simile a quello che accade in Toscana e a Roma. Si parla di dissolvere la Camera. La nuova potrebbe essere meno codina; ma non credo con tuttociò che il partito che è al potere avrà facilità a mantenersi agli affari. Ora voglion mettere i loro in tutti gl’impieghi: ma non hanno uomini, e le scelte fanno ridere il pubblico, soprattutto le diplomatiche. Gioberti è caduto nell’opinione per la sua malafede, e per la vanità ridicola che gli esce da tutti i pori. I suoi colleghi sono quasi tutti incapacità. Il primo atto del ministero di consegnare in tempo di guerra i forti d’una fortezza di I° ordine come Genova al popolo, è d’un ridicolo mostruoso, ed i diplomatici esteri non [se] (1) ne sanno persuadere. Da tutto questo vedi che forza possa avere l’amministrazione attuale. Ora vedremo cosa farà Luigi in Francia. Non credo potrà neppur lui mettere l’Europa sossopra, e credo dovrà invece ajutare ad ordinarla. Pensiamo se l’Italia potrà essa prender l’iniziativa, e far pazzie a modo suo!
Ti ringrazio degli elogi che mi riferisci e dei quali tanto godi: ma in verità non so in cosa li meriti. Per aver rinunziato al ministero? Ma dalle ragioni che t’ho dette vedi che era un tornaconto, non un sacrifìzio. Neppur saranno per la mia eloquenza alla Camera, dove non ho aperto bocca, e non l’aprirò; le discussioni che vi si fanno, le idee, il modo me coupent le sifflet, e lo taglierebbero non so a chi. La malafede e l’imbecillità o non intendono o non vogliono intendere, che è lo stesso: e allora perché parlare? Per ora, finché non passi quest’influsso, credo bene di taire le mort: poi vedremo. Siccome però credo che non vi sia altra scelta per l’Italia che anarchia o dispotismo, e che non voglio farmi istrumento di nessun de’ due, vengo vedendo, che avrò probabilmente a prendere la mia giubilazione. Questa volta non dirai che non sono stato esplicito. Salutami tutti.
M.°
Livorno, B. Labronica, Racc. Bastogi, Cass. 19, Iris. 337. Nell’indirizzo; «Alla Signora / Sig. Luisa Azeglio Blondel / Pisa». Timbro di partenza; «Torino 25 dic.». Timbro d’arrivo: «Pisa 28 dic.
1848». Già edita in G. CASCANO, Lettere, p. 333.
[1] Strappo nel manoscritto.