Angelo Flaccavento, Il Sole 24 Ore 10/12/2010, 10 dicembre 2010
«GLI UOMINI VERI HANNO LA BARBA» PAROLA DI UMIT BENAN
«Non amo la perfezione» dice Umit Benan, senza enfasi. Barba scarmigliata, capelli arruffati, abiti di taglio impeccabile dentro i quali sembra aver trascorso comodamente più di una notte, Benan, con la sua aria da bohemien perbene, rende l’affermazione convincente. Vincitore nel 2009 della prima edizione del concorso Who’s On Next? Uomo, è uno dei nomi più promettenti comparsi di recente sulla scena, affollata ma non sempre eccitante, della moda maschile internazionale. Tra i suoi sostenitori, Robert Rabensteiner, fashion editor dall’occhio infallibile, la severa Suzy Menkes e Dolce&Gabbana, che vendono la collezione nello spazio multimarca Spiga 2. Il tutto, per una volta, da Milano, non da Parigi. Trentenne, figlio di un industriale tessile, Benan è turco ma è nato in Germania; cresciuto a Istanbul, ha studiato tra Inghilterra e Stati Uniti. Dopo il diploma alla Parson’s School of Design lavora a New York al fianco di Marc Jacobs, ma nel 2006 si trasferisce a Milano per assistere Rifat Ozbek, turco anche lui, da Pollini. È qui che, due anni fa, decide di lanciare la collezione a suo nome, rivelando da subito una visione contemporanea e originale. Il suo stile ruvido e sartoriale convince: Umit non è interessato all’età, quanto alla mascolinità; le sue collezioni, classiche ma fuori registro, sono adatte a uomini di ogni demografia e tipo fisico. Il tratto saliente è un misto impalpabile di sartoria e personalità: al contrario di molti colleghi, Benan è infatti convinto che lo stile venga da dentro; per lui, non è l’abito che fa il monaco, ma il contrario. Il nuovo, spesso, è semplicemente il frutto di un ribaltamento di un punto di vista: certe piccole rivoluzioni della moda nascono così. Semplicemente.
Signor Benan, ci spiega la sua passione per le barbe?
È il primo attributo che associo all’idea di uomo vero. Non la barba curata da avvocato o da banchiere, però, piuttosto quella scompigliata da fuggiasco, che trovo estremamente affascinante, e che non tutti si possono permettere.
Come mai ha scelto di creare una collezione da uomo?
A scuola ho studiato women’s wear, e di questo mi sono occupato lavorando con Marc Jacobs e Rifat Ozbek. Ho a lungo riflettuto prima di lanciare la mia collezione, arrivando alla conclusione che mentre il mercato della moda femminile è pieno di proposte, quello della moda maschile è in fondo alquanto omogeneo. Il tipo di uomo che ho in mente non esisteva, e per questo mi sono lanciato.
Com’è questo uomo?
Ha la barba, o i baffi, innanzi tutto, che vogliono dire una precisa disposizione mentale. È un uomo sicuro di sé, ma non disdegna la frivolezza. Direi che il musicista Burhan Ocal, protagonista ideale della mia ultima collezione, ispirata alla Turchia tradizionale, rappresenta bene questo ideale, con il suo misto di romanticismo, ruvidità e arroganza.
Come nasce una sua collezione?
In una maniera quasi cinematografica. Osservo la gente per strada, alla ricerca di un tipo preciso di uomo. Quando lo trovo, immaginino le sue abitudini, il suo modo di essere: una storia dettagliata, sulla quale costruisco poi un guardaroba. Per questo motivo evito la sfilata: nelle mie presentazioni, intime e raccolte come scene di vita (quella per la p-e 2011 riproduceva un caffè dell’est turco, con tanto di giocatori di backgammon, ndr), voglio gente vera, che interpreti gli abiti in modo naturale.
Qual è il trait d’union tra i personaggi che immagina?
Sono io: una persona imprevedibile, dalle mille facce. In ogni personaggio che invento c’è un po’ di me, e ci sono io al cento per cento dietro gli abiti. Faccio tutto da solo, tra mille difficoltà, perché l’indipendenza è preziosa, ma complicata.
L’eleganza è un concetto che la interessa?
L’eleganza è una espressione del potere maschile. Per alcuni significa buone maniere, per altri un blazer blu con i bottoni oro. Personalmente, preferisco il fascino.
Come definirebbe il suo stile?
Street-sartoriale: mascolino, aggressivo, frutto di una attrazione per contrasto e imperfezione.