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 2010  dicembre 10 Venerdì calendario

I MORITURI NON SALUTAVANO NESSUNO


Quando si parla dell’Impero romano la mente della maggior parte delle persone, sarà per i romanzi di consumo dell’800, per i film di Hollywoodcome “Il gladiatore”con Russell Crowe o per la maestosità del Colosseo, corre subito ai gladiatori. Uomini (criminali, schiavi, prigionieri di guerra, ma anche cittadini a tutti gli effetti, persino senatori ed equites, spinti dalla necessità oppure dalla brama di gloria e denaro) armati alla pari che combattevano nell’arena per il divertimento del pubblico, il quale quasi sempre decideva la sorte dello sconfitto. Di loro immaginiamo spesso di sapere tutto, ma errori e misterisono dietro l’angolo, non appena dalla fiction si passa alla storia e alle scoperte archeologiche.
Una chiara dimostrazion ela si trova leggend oun bel saggio dello storico militarer usso Konstantin Nossov, Gladiatori. Sangue e spettacolo nell’antica Roma (LEG, pp.220, euro 25, con illustrazionidi Vladimir Golubev e un utile glossario). Che racconta, con grande dovizia di particolari, non solo i munera (i giochi gladiatori) dal III sec. a.C. al 404d.C., ma anche le venationes( partite di caccia, lotte tra e con belve, spettacoli di tauro catàpsie, numeri con animali tipocirco...) dal 186 a.C. al 681 d.C.,l e costosissime naumachia e(simulazioni di storiche battaglie navali, con esito finale spesso diverso dalla realtà) inarene riempite d’acqua (o, sottoElagabalo, di vino!) oppur ein laghi artificiali dal 46 a.C. al 274 d.C., e le esecuzioni dei damnati ad bestias (spesso cristiani, mai cittadini romani, talvolta protagonisti di messe in scena di episodi mitologici) nelle loro mille varianti. I luoghi comuni demoliti sonop arecchi. Noi ne citiamo giusto tre. Innanzitutto, l’origine. Non etrusca, bensì, come dimostrato dal recente rinvenimento nella zona di Paestum di alcuni affreschi risalenti al 370-340 a.C. e da un passo di Liviori guardante la Seconda Guerra Sannitica (327-304 a.C.), campana (del resto in Campania furono edificati i primi anfiteatri in pietra e lì sorsero le più famose scuole gladiatorie).
Quindi, la celebre frase «Ave Caesar, morituri te salutant». Pronunciata, nella forma rivolta all’imperator (cfr. Svetonio, Vita di Claudio), da criminalic ondannati a combattere nella naumachia organizzata nel 52d.C. nel lago Fucino (Siciliani contro Rodii), non abbiamo alcuna prova del fatto che la usassero i gladiatori.
Infine, il verdetto di condanna a morte pronunciato con il pollice girato all’ingiù. Ebbene, è una storiella senza testimonianze, né scritte (solo Giovenalene parla nella Satira VI, ma senza indicare la direzione del movimento) né iconografiche.Un gesto c’era, ma su quale fosse (pollice verso il petto, manoa perta, fazzoletto da sventolare) si possono fare soltanto ipotesi.
Nossov passa in rassegna i diversi tipi di gladiatori dell’epoca imperiale (e i loroa bbinamenti): l’arbelas (l’exscissor del periodo repubblicano), caratterizzato da un falso braccio con lama terminale a forma di falce; il venator (a rigore non un gladiatore), che affrontava gli animali con scudo quadrangolare e asta; l’hoplomachus ,che combatteva con la daga e l’asta a petto nudo; il dimachaerus, armato di duespade; il myrmillo (ex gallus); il provocator, in origine un condannato a morte che provava a ottenere la grazia; il retiarius, con rete, tridente e pugnale, chiamato talvolta a combattere dall’alto di un pons contro dueavversari; il secutor (o contraretiarius), uguale, elmo (liscio,con piccoli fori e cimiero simile a una pinna) a parte, al myrmillo; il thraex, con elmo coronato da un cimiero a test adi grifone; l’andabata, che si batteva alla cieca; e poil’eques, il crupellarius,l ’essedarius, il veles ecc. Di tutti sviscerale tattiche di lotta, descrive l’equipaggiamento, paragonandolo a quello dei soldati, e ricostruisce la fortuna presso il pubblico. Un capitolo intero è dedicato agli anfiteatri, in legno e in pietra, di cui ci restano oggi 186 esempi,dal Colosseo, costruito con ilbottino della Guerra Giudaica,a Nimes ed El Djem in Tunisia.Particolarmente affascinante,comunque, resta il raccontodelle imprese dei più famosigladiatori, come l’imperatoreCommodo (per le malelinguelui stesso figlio di un gladiatoree non di Marco Aurelio), abilearciere, forzuto e sanguinario,con ben 1.100 vittorie nel palmarèsda secutor. Senza dimenticarel’esisten -za, sotto Nerone eDomiziano, di gladiatrici, eliminate una volta per tutte solo da Settimio Severo. Ma un gladiatore quanto poteva sperare di sopravvivere? Nonostante il divieto di giochi sine missione (quelli cioè in cui si sapeva fin dall’inizio che uno degli sfidanti doveva morire) introdotto da Augusto, davvero poco. Diciamo che le possibilità erano 9:1 (4:1 se sconfitto) nel I secolo, ma appena 3:1 (2:1 sesconfitto) nel III secolo, quandola missio era concessa solo ai più dotati. Tra i 18 e i 25 anni, insomma, ci si lasciava la pelle. Ma sempre con onore. «C’è mai stato un gladiatore, anche mediocre, che abbia fatto sentire un suo sospiro? Che sia sbiancato in volto? Che si sia disonorato in combattimento o in punto di morte? Chi, sconfitto, ha mai ritratto il collo persottrarsi al colpo fatale?», si chiedeva retoricamente Cicero nenelle Tusculanae disputationes. Tanto che la lode migliore per un soldato era: «È morto come un gladiatore».