Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha detto ieri che sarebbe bene aumentare l’età pensionabile. Le parole esatte sono queste: il tasso di copertura assicurato dallo Stato in Italia ai futuri pensionati «sarà più basso, a parità di età di pensionamento, di quello che il sistema ha garantito finora». Quindi «per assicurare prestazioni di importo adeguato a un numero crescente di pensionati è indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento».
• Non è che sia un discorso chiarissimo…
In pratica: se uno va in pensione oggi, mettiamo, a 65 anni prende una certa cifra. Il 65enne del 2015, però, prenderà una cifra più bassa, e quello del 2020 una cifra ancora più bassa. Eccetera. Vale a dire: il sistema è tale che, se l’età in cui ti ritiri è sempre la stessa, l’assegno è sempre più basso.
• Come mai?
Ci sono due potenti fattori di riduzione. Il primo è l’applicazione dei cosiddetti «coefficienti di trasformazione». Previsti già dalla legge Dini e mai applicati finora per la strenua opposizione dei sindacati, i coefficienti entreranno in funzione il prossimo 1˚ gennaio. Si tratta di questo: si calcola il denaro effettivamente versato dai lavoratori attraverso i contributi; si rivaluta poi questa somma (detta «montante individuale») con un coefficiente che è il risultato della media geometrica quinquennale del Pil. «Media geometrica» significa che i cinque numeri che rappresentano il Pil degli ultimi cinque anni vengono moltiplicati tra di loro. Quindi se uno solo di questi numeri è negativo (e nel 2009 il Pil è sceso), il coefficiente è negativo. L’assegno pensionistico perciò scende. già stato fatto il calcolo di quello che succede a un lavoratore dipendente oppure a un artigiano che abbiano cominciato a lavorare nel 1996 e che vadano in pensione nel 2031. L’assegno del dipendente sarà più o meno pari al 60% dell’ultima retribuzione. Quello dell’artigiano al 40%. Molto, molto meno di adesso.
• E il secondo fattore di riduzione?
Lo ha introdotto Tremonti con il decreto anti-crisi. Dal 2015 l’età pensionabile aumenterà, lentamente ma automaticamente, in base all’aspettativa di vita media degli italiani. Questa aspettativa è fortunatamente alta e si prevede che crescerà sempre di più in futuro. Quindi già adesso esiste, nella nostra normativa, un fattore di ritardo del pensionamento.
• Allora Draghi di che cosa parla?
Il discorso di Draghi è questo: le pensioni che toccheranno ai futuri vecchi sono troppo basse. C’è un solo modo, secondo il governatore, di rimediare: riscrivere completamente il sistema innalzando, gradualmente ma nettamente, l’età in cui si va in pensione. In questo modo si raccoglieranno le risorse necessarie a dare ai pensionati futuri una rendita più alta, più adeguata ai tempi. Naturalmente in questa analisi c’è la consapevolezza che i settantenni di domani godranno di buona salute e saranno assolutamente in grado di lavorare, magari con un sistema flessibile che consenta di scegliersi l’orario o comunque di organizzarsi la giornata.
• Che cosa hanno detto politici e sindacalisti?
La Marcegaglia, presidente di Confindustria, sostiene che il governo ha fatto molto, ma che si può fare di più. Sacconi, il ministro competente, giudica il sistema attuale sufficiente: «Già dall’anno prossimo si calcola l’andamento dell’aspettativa di vita in modo che dal 2015 ci sia un aumento automatico corrispondente e proporzionale. Da allora ogni 5 anni ci sarà un adeguamento. Credo che un meccanismo di questo genere sia più che sufficiente visto che si combina con quanto previsto dai governi Dini e Prodi sulla caratura delle pensioni». Sono contrari anche i presidenti di Inps e Inpdap. L’Inps oltre tutto ha chiuso il bilancio con un buon attivo. Epifani ha detto subito di no. E insomma in genere la proposta di Draghi non è stata accolta bene. Senonché il discorso del governatore sulla pensione si inseriva in una critica più ampia a tutto il sistema dello stato sociale. Molti lavoratori «restano ancora esclusi dalla tutela pubblica» e ci sono troppi sistemi diversi di tutela, effetto delle varie contrattazioni sindacali o di leggi ad hoc varate in favore delle categorie elettoralmente più interessanti. Non essendo state concepite in modo organico, queste tutele lasciano molti vuoti, cioè molti lavoratori non hanno nessuna protezione. Secondo le cifre che ha fornito Draghi, almeno un milione e 200 mila tra i dipendenti e quasi mezzo milione tra i parasubordinati è privo di tutele. Il governatore non ha ricordato un’altra verità: noi abbiamo dodici sistemi pensionistici diversi. Un altro fatto di potenziali ingiustizie. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/10/2009]
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