Paolo Foschini, Corriere della Sera 14/10/09, 14 ottobre 2009
Le 2.800 parole da salvare - 

 pertinente che un mero dizionario, anziché indulgere a un’idea di sé quale melensa ancorché alfabetica accozzaglia di lemmi, nutra invece la brama di una lingua intesa come eloquio ricco, facondo e forbito, che contenga luoghi non solo belli ma almeno talvolta ameni , brioche non solo buone ma talora fragranti, insomma una lingua che sappia distinguere la noia dal tedio più tetro e magari la gioia dal più ineffabile giubilo? La risposta è nel nuovo Zingarelli edizione 2010 (Zingarelli 2010
Le 2.800 parole da salvare - 

 pertinente che un mero dizionario, anziché indulgere a un’idea di sé quale melensa ancorché alfabetica accozzaglia di lemmi, nutra invece la brama di una lingua intesa come eloquio ricco, facondo e forbito, che contenga luoghi non solo belli ma almeno talvolta ameni , brioche non solo buone ma talora fragranti, insomma una lingua che sappia distinguere la noia dal tedio più tetro e magari la gioia dal più ineffabile giubilo? La risposta è nel nuovo Zingarelli edizione 2010 (Zingarelli 2010. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli editore): che accanto ai 1.200 nuovi ingressi lessicali accordati quest’anno alla (ex) lingua di Dante – con termini che ora spaziano da «vipperia» alla ginnastica «pump» – ha deciso di dedicare una specifica campagna a una selezione di 2.800 «parole da salvare». Parole in verità non propriamente arcaiche – e men che mai onuste, a proposito – ma che l’uso corrente del parlar comune sta rischiando, secondo i rilievi statistici effettuati, di vedere estinte per mancanza di utilizzo.

 In questo articolo le segnaliamo solo con un blando corsivo, ma i curatori dello Zingarelli le hanno evidenziate facendole precedere da un minuscolo simbolo di fiori, inteso come il seme delle carte da ramino: così come il seme di quadri appare tuttora, e ormai dall’edizione 2004, accanto alle parole ritenute «appartenenti all’italiano fondamentale». Naturalmente può esserci come in ogni cosa un margine di opinabilità se è vero – l’esempio è scelto solo per celia , giusto per vedere se la fisima sarà tale da innescare una disputa – se è vero, si diceva, che tra le fondamentali è stata inserita «femminilità» ma non «femminismo». Ma la questione, a ben guardare, forse è effettivamente più profonda che non un futile ghiribizzo da eruditi.

 Ci sono cioè stati anni in cui chi si occupava di lingua italiana temeva che a minacciarne la pimpante e atavica ricchezza fosse soprattutto un pericolo, anzi un periglio su tutti: vale a dire la famigerata paventata invasione dei termini stranieri. In effetti la stessa edizione 2004 del medesimo Zingarelli – solo cinque anni fa – lasciava trasparire nella sua introduzione una ben palese prudenza in tal senso: «Lo Zingarelli – vi si leggeva – non rincorre neologismi ed esotismi, né accoglie parole effimere legate all’attualità». E invero ancora oggi, scrive nella presentazione attuale Massimiliano Arcangeli, i neologismi sono pur sempre «selezionati con grande cura perché non si dica un giorno che si trattava di effimerismi». Eppure il salto rispetto al passato anche recente è notevole: tra l’anglomania bislacca di chi in tv arrivò a traslare la pronuncia di «sine die» in un reboante «sain dai» e l’anglofobia di chi vorrebbe sostituire il drink dell’ happy 

hour con improponibili «bicchieri dell’ora felice», lo Zingarelli 2010 conclude che «pronunciare e accentare bene è molto meglio che tradurre o adattare male». Perciò nel nuovo vocabolario italiano entra ora senza problemi un acronimo come «Nimby», per dire che l’inceneritore fatelo pure ma Not In My Back Yard , non nel mio giardino; entrano la «social card» e il «feng shui», l’antica disciplina cinese dell’equilibrio applicato (anche) all’architettura; e così pure parole nostrane ma rinnovate nel significato come «acchiappo» per seduzione o neologismi pur tremendi come «traduttese» per traduzione troppo letterale o contorta. (La punteggiatura di questo paragrafo non è casuale e intende rispondere a una ulteriore, preoccupata segnalazione dello Zingarelli circa la progressiva scomparsa del punto-e-virgola, evocata anche in Francia dall’esistenza di un Comité de défense du point-virgule).

 Il punto è che il pericolo vero per qualsiasi lingua, oggi, più del possibile assassinio per mano straniera è in realtà l’impoverimento per cannibalismo interno. Poche centinaia di parole per dire qualsiasi cosa. Raffaele Simone, in un saggio di qualche anno fa, raccontava di un test secondo cui solo 5 studenti su 300 dichiaravano di conoscere il significato di parole pur straordinarie come beffardo, sardonico, ondivago . E se più o meno tutti, trent’anni fa, avevano un’idea ben precisa di come poteva essere la giornata uggiosa di Mogol-Battisti, oggi forse non è così scontato che il pubblico di Harry Potter sappia perché il suo maestro Albus è anche tanto Silente.

Del resto non vale solo per i giovani e, anzi, vale a maggior ragione per le cronache d’attualità. Le quali purtroppo dimostrano una volta di più la mancanza di reciprocità tra quella lingua talora stucchevole quando non speciosa , ormai adusata nelle news, e l’altro lessico, pervicacemente tumido , che almeno sui dizionari insiste a non darsi per vinto. Lo Zingarelli, per dire, la parola «escort» la registra puntualmente: ma vuoi mettere con ancella?