PIERLUIGI BATTISTA, Corriere della Sera 14/10/2009, 14 ottobre 2009
Il fenomeno Zalone: quando la volgarità diventa arte sofisticata - Luca Medici ha fatto l’avvocato, ha buone letture alle spalle, è un perfezionista e ci mette quattro mesi a distillare i testi delle sue parodie
Il fenomeno Zalone: quando la volgarità diventa arte sofisticata - Luca Medici ha fatto l’avvocato, ha buone letture alle spalle, è un perfezionista e ci mette quattro mesi a distillare i testi delle sue parodie. Quando diventa Checco Zalone, la metamorfosi rende tutto scurrile e sguaiato, scandalosamente sboccato. Il nome di Luca Medici compare nell’anagrafe delle persone educate. Quello di Checco Zalone è scolpito al vertice della galleria dei tamarri o dei coatti. In Puglia tamarro si dice «cozzalone». Se vuoi dire «che tamarro» dici «che cozzalone»: Checco Zalone, appunto. Il parodista che fa della volgarità un’arte, della trivialità una costruzione sofisticatissima. E che scatena l’entusiasmo delle platee che si deliziano per le imitazioni, i doppi sensi espliciti, le rime oscene, Fabrizio De Andrè come base musicale per le gesta della D’Addario a Palazzo Grazioli, Giovanni Allevi dileggiato come un povero demente e per giunta copione. YouTube è tutta per lui. il nuovo fenomeno della scena televisiva. Un successo clamoroso. E se lo merita. Checco Zalone sdogana la volgarità, il politicamente scorretto, la Puglia. Risveglia il tamarro che sonnecchia in ciascuno di noi. I suoi testi sono indicibili, irriferibili. Cliccate su YouTube e li avrete integrali. Storpia le parole, deforma la grammatica e infatti il suo successo esplode quando canta «siamo una squadra fortissimi» durante i Mondiali del 2006. Prende i materiali del pop contemporaneo, li clona con un’imitazione perfetta e li restituisce come una bomba di volgarità che non ha complessi nemmeno con le icone della rispettabilità, della correttezza, del garbo e dello stile. L’Allevi checcozalonizzato fa i ghirigori sulle note di «Finché la barca va». Jovanotti viene sbeffeggiato sulla sua trovata che fa tanto tenera poesia del «grande amore e amore grande» («paparino » e «rinopapa», come la pubblicità di un pennello, gorgheggia la figlia interpretata da Zalone). Manu Chao che sdottoreggia sulla fame nel mondo e si rimpinza di torta alla panna («ma vatte a fa ”na canna»). I comici perbene leggono Dante per sentirsi colti e profondi. « Dante che legge Zalone» ha detto lui con sfrontatezza nel suo show. Appunto, lui non si eleva. Con lui tutto si abbassa, non resiste allo scherno beffardo, diventa un’oscenità in rima baciata. Checco Zalone è pugliese, come Patrizia D’Addario. E come la taranta del Salento che incanta gli esteti delle tradizioni popolari riscoperte ma che lui deturpa alla grande in una «taranta dellu centrodestra» in cui «viva lo capitalismu e viva lo federalismu» si intreccia con le rime di «Tremonti che fa bene i conti» e con altre, ferocemente esilaranti, sessiste, impresentabili, volgarissime, ma irresistibili sul ministro Carfagna e sulle abilità riformiste del ministro Gelmini. In Puglia saltano gli articoli determinativi e indeterminativi, «u» è onnicomprensivo e Zalone storpia sistematicamente «gli» con «i»: «i juventini» che fanno da «capi spiatoi» della «gente invidiosi » anche se «Moggi» fa rima con «orologgi» con cui gratificare gli arbitri internazionali. Checco Zalone ha un’ossessione divorante e inespiabile per il sesso. Tutto diventa sesso, carnale e rigorosamente eterosessuale. Se non fosse Checco Zalone, l’avvocato Luca Medici verrebbe accusato di essere un omofobo impenitente e politicamente scorrettissimo: «Oggi per andare avanti bisogna avere un po’ di ricchioneria interiore», «Giorgia» che nella fantastica parodia di Ray Charles («Georgia ») diventa ipoteticamente «Giorgio » che in un’«orgia» cerca «l’appogio » (con una «g») ma viene malamente respinto. Ma il sesso è il cuore della parodia. E giacché Zalone fa della volgarità un’arte e dell’arte una volgarità, lui fa addirittura, nientemeno una ballata sulla figura retorica della sineddoche, dove la parte viene presa per il tutto, e nella donna la parte per il tutto inizia per «f». Trasforma in sesso denso di afrore le ricercatezze verbali («considerevoli») di Carmen Consoli. Mette le misure di Rocco Siffredi nell’imitazione di Giusy Ferreri. Un ossesso del sesso raccontato, fantasticato dai tamarri di tutta Italia che si ritrovano nella rima ovvia («come siete perspicaci», dice lui dal palco quando la platea suggerisce in coro quale sarà la parola che finisce con azzo o con inchia o con ica). Le sue canzoni hanno titoli come «A me mi piace quella cosa » o «Viva le tette grosse» ma anche «Se ce l’ho fatta io, ce la puoi farcela anche tu», più enigmatico ma è assolutamente certo che si va a finire lì. L’arte di Checco Zalone è simile a quella di re Mida: fa diventare tutto una scurrilità colossale. Rispetto al perbenismo della satira politica tradizionale, che sceglie con cura i suoi bersagli e non si spinge oltre la soglia della volgarità pura, il lavoro di Zalone non ha remore, autocensure, pregiudizi, spirito di clan e di tribù. Se spara, spara con effetti devastanti sulle feste di Villa Certosa. Ma se lascia (momentaneamente) perdere il centrosinistra è perché nel Pd tutto è sbiadito e scolorito e triste e c’è poco sesso, poco sangue, poca carne. Altrimenti, chissà quali rime su Franceschini, Marino e Bersani. Zalone è l’incarnazione del trash, del trash che sommerge la provincia meridionale italiana. una nuova maschera della commedia dell’arte, ma mentre le maschere tradizionali sono fisse su un’unica parte, condannate a un unico tono, quella di Zalone è in perenne metamorfosi, prende e assorbe tutto bulimicamente per rovesciarlo nella dimensione dello sberleffo. Per trovare paragoni hanno scomodato Lenny Bruce. Oppure Borat (che non è che faccia ridere proprio tutti). Ma qualsiasi intellettualismo svanisce in un musicista che sa suonare magnificamente al pianoforte ma infilza senza pietà il suo amato jazz: «Qquando vi viene da dire ”ma che czz di musica è questa’, ecco, quello è il jazz». Che massacra il testo del Nabucco di Verdi che tanto piace alla Lega. Ma che robaccia è questa: ecco, quello è Zalone.