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 2009  ottobre 14 Mercoledì calendario

Il governatore della Banca d’Ita­lia, Mario Draghi, ha detto ieri che sarebbe bene aumentare l’età pensionabile

Il governatore della Banca d’Ita­lia, Mario Draghi, ha detto ieri che sarebbe bene aumentare l’età pensionabile. Le parole esat­te sono queste: il tasso di copertu­ra assicurato dallo Stato in Ita­lia ai futuri pensionati «sarà più basso, a parità di età di pensio­namento, di quello che il sistema ha garantito finora». Quindi «per assicurare prestazioni di im­porto adeguato a un numero cre­scente di pensionati è indispensa­bile un aumento significativo del­l’età media effettiva di pensiona­mento».

Non è che sia un discorso chia­rissimo…
In pratica: se uno va in pensio­ne oggi, mettiamo, a 65 anni prende una certa cifra. Il 65en­ne del 2015, però, prenderà una cifra più bassa, e quello del 2020 una cifra ancora più bas­sa. Eccetera. Vale a dire: il siste­ma è tale che, se l’età in cui ti ritiri è sempre la stessa, l’asse­gno è sempre più basso.

Come mai?
Ci sono due potenti fattori di ri­duzione. Il primo è l’applicazio­ne dei cosiddetti «coefficienti di trasformazione». Previsti già dalla legge Dini e mai applicati finora per la strenua opposizio­ne dei sindacati, i coefficienti entreranno in funzione il prossi­mo 1˚ gennaio. Si tratta di que­sto: si calcola il denaro effettiva­mente versato dai lavoratori at­traverso i contributi; si rivaluta poi questa somma (detta «mon­tante individuale») con un coef­ficiente che è il risultato della media geometrica quinquenna­le del Pil. «Media geometrica» significa che i cinque numeri che rappresentano il Pil degli ul­timi cinque anni vengono molti­plicati tra di loro. Quindi se uno solo di questi numeri è negati­vo (e nel 2009 il Pil è sceso), il coefficiente è negativo. L’asse­gno pensionistico perciò scen­de. già stato fatto il calcolo di quello che succede a un lavora­tore dipendente oppure a un ar­tigiano che abbiano cominciato a lavorare nel 1996 e che vada­no in pensione nel 2031. L’asse­gno del dipendente sarà più o meno pari al 60% dell’ultima re­tribuzione. Quello dell’artigia­no al 40%. Molto, molto meno di adesso.

E il secondo fattore di riduzio­ne?
Lo ha introdotto Tremonti con il decreto anti-crisi. Dal 2015 l’età pensionabile aumenterà, lentamente ma automatica­mente, in base all’aspettativa di vita media degli italiani. Que­sta aspettativa è fortunatamen­te alta e si prevede che crescerà sempre di più in futuro. Quindi già adesso esiste, nella nostra normativa, un fattore di ritardo del pensionamento.

Allora Draghi di che cosa par­la?
Il discorso di Draghi è questo: le pensioni che toccheranno ai futuri vecchi sono troppo bas­se. C’è un solo modo, secondo il governatore, di rimediare: ri­scrivere completamente il siste­ma innalzando, gradualmente ma nettamente, l’età in cui si va in pensione. In questo modo si raccoglieranno le risorse neces­sarie a dare ai pensionati futuri una rendita più alta, più ade­guata ai tempi. Naturalmente in questa analisi c’è la consape­volezza che i settantenni di do­mani godranno di buona salute e saranno assolutamente in gra­do di lavorare, magari con un sistema flessibile che consenta di scegliersi l’orario o comun­que di organizzarsi la giornata.

Che cosa hanno detto politici e sindacalisti?
La Marcegaglia, presidente di Confindustria, sostiene che il governo ha fatto molto, ma che si può fare di più. Sacconi, il mi­nistro competente, giudica il si­stema attuale sufficiente: «Già dall’anno prossimo si calcola l’andamento dell’aspettativa di vita in modo che dal 2015 ci sia un aumento automatico corri­spondente e proporzionale. Da allora ogni 5 anni ci sarà un ade­guamento. Credo che un mecca­nismo di questo genere sia più che sufficiente visto che si com­bina con quanto previsto dai go­verni Dini e Prodi sulla caratu­ra delle pensioni». Sono contra­ri anche i presidenti di Inps e Inpdap. L’Inps oltre tutto ha chiuso il bilancio con un buon attivo. Epifani ha detto subito di no. E insomma in genere la proposta di Draghi non è stata accolta bene. Senonché il di­scorso del governatore sulla pensione si inseriva in una criti­ca più ampia a tutto il sistema dello stato sociale. Molti lavora­tori «restano ancora esclusi dal­la tutela pubblica» e ci sono troppi sistemi diversi di tutela, effetto delle varie contrattazio­ni sindacali o di leggi ad hoc va­rate in favore delle categorie elettoralmente più interessan­ti. Non essendo state concepite in modo organico, queste tute­le lasciano molti vuoti, cioè molti lavoratori non hanno nes­suna protezione. Secondo le ci­fre che ha fornito Draghi, alme­no un milione e 200 mila tra i dipendenti e quasi mezzo milio­ne tra i parasubordinati è privo di tutele. Il governatore non ha ricordato un’altra verità: noi ab­biamo dodici sistemi pensioni­stici diversi. Un altro fatto di po­tenziali ingiustizie. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/10/2009]