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 2009  ottobre 14 Mercoledì calendario

LA CRISI FA BENE AI MILIARDARI


Crisi? Quale crisi? Non certo per i miliardari cinesi i cui ranghi si allargano insieme a una ricchezza che aumenta a rotta di collo. Lo dice l’annuale rapporto di Hurun, rivista di Shanghai di economia, finanza e consumi di lusso che ieri ha diffuso ufficialmente la sua ormai tradizionale lista dei «1000 paperoni» di Cina. Ricchezza personale minima, per esservi ammessi, 150 milioni di dollari. L’anno scorso, i miliardari della lista erano 101, quest’anno sono 130, portando la Cina al secondo posto nel mondo, dopo gli Usa che di miliardari ne contano 359. Tanto per relativizzare, segue a distanza la Russia con 32 e l’India con 24 ( dati di Forbes). E pensare che cinque anni fa i miliardari cinesi erano appena a tre.
La media della ricchezza detenuta dai 1000 ricconi è di 571 milioni di dollari ed è cresciuta di un terzo rispetto allo scorso anno. E se nel 2004, come racconta il fondatore di Hurun Report, Rupert Hoogewerf, a malapena si trovavano 100 cinesi con un patrimonio da 150 milioni di dollari, quest’anno se ne sono trovati ben mille. Ma c’è di più. Secondo Hoogewerf, lussemburghese di 39 anni, nome cinese Hu Run, i miliardari in Cina sarebbero almeno il doppio, ma molti «sfuggono ai radar».
Quest’anno in testa alla classifica, con un patrimonio personale di 5 miliardi di dollari, c’è Wang Chuanfu, 43 anni, che ha fatto fortuna dal 1999 producendo batterie ma che in orbita ci è andato solo da poco tempo, da quando le batterie ha pensato di montarle su auto elettriche ibride ormai prodotte in massa dalla sua compagnia, la Byd, acronimo di «Build your dreams», 11 stabilimenti, 130 mila dipendenti. A realizzare in particolare i suoi sogni è stata la straordinaria crescita del mercato dell’auto cinese (la divisione auto della Byd è cresciuta in un anno del 133%), gli aiuti governativi per i veicoli «verdi» e un notevole apporto di capitale venuto dal miliardario Usa Warren Buffett che, con il suo noto fiuto per gli affari, nel 2008 ha acquisito il 10% della società di Wang. Non se n’è di sicuro pentito visto che, con un investimento di 230 milioni di dollari oggi si trova in mano un pacchetto azionario che vale 1,7 miliardi di dollari. Come sia in un anno Wang Chuanfu ha «saltato» ben 102 posizioni nella classifica di Hurun.
Al secondo posto torna la «regina della carta riciclata» Zhang Yin che, in testa nel 2006, nei due anni successivi aveva perso colpi. Chi cerca ancora prove che l’economia «verde» paga è accontentato. Anche se non va dimenticato che qui si tratta della turboeconomia cinese, composto esplosivo di spregiudicatezza al limite del cinismo, affarismo e potenti agganci politici. Tanto per capire, un terzo dei mille ricconi in testa alla lista sono membri del Partito comunista, come affermano gli stessi estensori del rapporto. Le altre otto posizioni della «top ten» di Hurun confermano d’altra parte quanto le fortune economiche siano legate al sostegno del governo. Sono infatti occupate da impresari edili, arricchitisi con lo straodinario sviluppo urbano che in Cina ancora non accenna a fermarsi (ed è legato a doppio filo ai favori dei governi locali), e produttori di alluminio.
Ma fare il miliardario in Cina, se offre notevolissimi vantaggi rispetto a quel miliardo e oltre di cinesi che fatica a campare, è anche un mestieraccio. Lo dimostra il turn over della lista, il maggiore dal 1999, da quando cioè la lista viene stilata. Le «new entry» sono ben sette. La realtà è che la dubbia facilità con cui le fortune vengono arraffate rende precaria la tenuta in classifica, anche se è raro che un miliardario cinese vada in rovina. Colui che occupava il primo posto nella lista di Hurun dello scorso anno, Huang Gangyu, produzione e vendita di materiale elettrico, si trova ancora in un centro di detenzione del partito, accusato di manipolazione di titoli. La sua fortuna personale è passata da 8 a 3,4 miliardi di dollari. Sotto inchiesta con lui un certo numero di funzionari locali della provincia meridionale del Guangdong. Un altro tycoon del commercio al dettaglio, il fondatore di Wu-mart Zhang Wenzhong, è stato condannato a 18 anni di carcere per truffa, corruzione e appropriazione indebita. E la lista potrebbe continuare.
C’è un’altra classifica interessante, che Hurun ha proposto nell’agosto di quest’anno, e che fa il paio con quella diffusa ieri: il livello dei consumi che stabilisce lo status del «vero ricco» cinese. Risultato, se non spendi in beni di lusso almeno 12,7 milioni di dollari l’anno non sei nessuno. In Cina oggi quelli che appartengono a questa nuova aristocrazia sono «solo» 51mila. Ciascuno tragga le proprie conclusioni sulla produzione di ricchezza e la sua distribuzione in Cina, paese «in transizione» verso il socialismo armonioso.