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 2009  ottobre 14 Mercoledì calendario

Gli attacchi al Corriere: un’altra risposta - Nei giorni scorsi il Corriere della Sera , per la sua posizione indipendente, è stato attaccato sia da destra sia da sinistra

Gli attacchi al Corriere: un’altra risposta - Nei giorni scorsi il Corriere della Sera , per la sua posizione indipendente, è stato attaccato sia da destra sia da sinistra. Al presidente del Consiglio, che ci ha ingiustamente criticato, ho risposto sabato 10 ottobre dicendo che non arretreremo «di un solo millimetro da quello che consideriamo un dovere verso i lettori». La nostra è una linea realistica e non prevenuta di valutazione costante dell’azione del governo. E di difesa rigorosa dei valori della Costituzione, della separazione fra i poteri, ma anche della volontà della maggioranza degli italiani.  quello che chiedono i lettori, che in que­sti giorni mi hanno inviato moltissime email di approvazione. Li ringrazio di cuore perché ho potuto constatare che un’informazione corretta e libera (come ho scritto nell’editoria­le di lunedì 12) rispettosa di chi legge, che non divide l’opinione pubblica in eserciti con­trapposti, è gradita e richiesta. Con un giorna­lismo non piegato agli interessi di una parte o funzionale agli obiettivi da colpire, il cittadi­no è più libero e responsabile. protagoni­sta, non ostaggio. Il Corriere non è un foglio di battaglia ma si batterà perché libertà di stampa e d’espressione siano ampie e garanti­te. Quando Berlusconi, come ha fatto ancora l’altro ieri, attacca un giornale, noi lo diciamo a chiare lettere ed esprimiamo il nostro dis­senso. Altri, com’è accaduto alla Repubblica quando il presidente del Consiglio se l’è pre­sa con noi, non mettono nemmeno la noti­zia. E qui veniamo alla polemica che contrap­pone chi scrive al fondatore del giornale ro­mano. Eugenio Scalfari, nel suo editoriale di domenica, ha manipolato la mia risposta al premier, ferma ma garbata, facendola passa­re per una sorta di «resa al Caimano», come lo chiama il suo giornale. Lo stesso Caimano, come ho avuto modo di dire lunedì sera al­l’ «Infedele» di Gad Lerner, al quale lui e il compianto grande editore Carlo Caracciolo resero visita, ad Arcore, per chiedergli di comprare una quota della loro casa editrice. Scalfari in trasmissione l’ha negato e lo ha fatto anche ieri (il servizio è a pagina 9). Ne pren­diamo atto. Fedele Confalonieri presidente di Mediaset, che era presente all’incontro, lo ha confermato. Chi ha ragione? Scalfari in tra­smissione ha detto anche che, nel giugno del 2003, quando lasciai la direzione del Corriere lui mi difese. Sono andato a rileggermi quel fondo dell’8 giugno, dal titolo «Gli allegri can­tori del lavoro», che si occupava nella prima parte di tutt’altro. Scalfari mi avrebbe difeso dicendo che, dimettendomi, «avevo voluto coprire una proprietà meno compatta di quanto sia voluta apparire», che avevo usato nella mia direzione solo il bilancino del terzi­smo e del cerchiobottismo, nonostante io mi fossi espresso decisamente contro la guerra in Iraq, sui processi Previti, su alcune leggi ad personam. Alla faccia della difesa! Quando gli avvocati del premier Ghedini e Pecorella mi citarono in giudizio per aver usato il termi­ne «avvocaticchi» (sono stato condannato) in una critica alla legge sul legittimo sospetto, lui zitto. Insomma io per lui sono un pavido, senza coraggio. Come ripete nel commento di ieri nel quale mi paragona a don Abbondio perché non mi unisco alla battaglia, senza esclusione di colpi, contro il Caimano Berlu­sconi. Ribadisco che un giornale non è un partito. Ha il compito di informare con corret­tezza e lealtà. I governi li mandano a casa i cittadini, di cui si rispetta la scelta, anche se non la si condivide. E Scalfari non è titolare dell’unica cattedra morale del Paese. Termino questa doverosa risposta ricor­dando che Scalfari è stato, ed è, anche un grande giornalista economico. Un maestro. Lo è stato anche quando appoggiò inizialmen­te Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Lo ricostruisce Fa­bio Tamburini nel suo libro su Cuccia ( Un si­ciliano a Milano , Longanesi). Non ho mai ca­pito perché Scalfari non abbia mantenuto con Caracciolo il controllo del suo quotidia­no, quotando in Borsa il 49 per cento, come gli aveva proposto un finanziere milanese, preferendo invece vendere tutto a De Bene­detti. Ma forse era solo una questione di sol­di. All’inizio degli anni Ottanta io ero un gio­vane redattore economico del Corriere . Il gior­nale era alla vigilia dell’amministrazione con­trollata dopo lo scandalo P2 e l’ingresso nel capitale dell’Ambrosiano di Calvi (che vide fra i suoi soci per un breve periodo De Bene­detti e affidò per circa otto miliardi dell’epo­ca la Cir). Era il 20 settembre dell’82 quando lessi su Repubblica un commento dello stes­so Scalfari che chiedeva in sostanza il falli­mento del suo concorrente, il Corriere. Un grande liberale, non c’è dubbio.