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 2009  ottobre 14 Mercoledì calendario

E MOSCA GIOCA LA CARTA CINESE


La Russia guarda a est. Il primo produttore mondiale di gas non fa mistero di voler diversificare i suoi clienti e trova una Cina che la accoglie a braccia aperte, assetata com’è di fonti di energia. Ieri il premier russo, Vladimir Putin è andato in visita ufficiale dal suo omologo Wen Jiabao, in occasione del 60esimo anniversario dall’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Non era solo una visita commemorativa. Il punto cruciale delle negoziazioni erano gli accordi sull’energia. Tre anni fa la Russia aveva firmato un memorandum strategico con la Cina per la costruzione del gasdotto dell’Altaj, lungo 2700 km. I lavori di costruzione dovevano iniziare l’anno scorso ma, per un disaccordo sul prezzo, il progetto è fermo da tempo. Fino ad ora non era un problema, visto che la direzione principale delle esportazioni di Gazprom è stata l’Europa.
Lo scenario geopolitico sta però mutando rapidamente, e Mosca si adegua. Le difficoltà poste ogni inverno dall’Ucraina, il desiderio dei Paesi europei, sotto la spinta degli Usa, di trovare altri fornitori per essere meno dipendenti da un’unica fonte, stanno incrinando il ruolo dell’Europa come mercato principale del gigante Gazprom, che produce il 17% del gas mondiale. All’inizio di ottobre, Alexey Miller, amministratore delegato del colosso russo, ha notato che «nella nostra strategia la direzione Est (Vostochnyj vektor) diventa una priorità. Qui nel 2020 noi pensiamo di esportare 110 miliardi di metri cubi di gas, una quantità paragonabile all’export in Europa».
Ed ecco che appare la carta cinese. Putin ha delineato gli accordi. Già decisi i volumi, circa 70 miliardi di metri cubi di gas all’anno, non ancora il prezzo. Come dice Miller, «vorremmo proporre il prezzo basato sulla formula stabilita per l’Europa» (nel 2010 circa 300 dollari per mille metri cubi). Igor Sechin, il vicepremier russo responsabile per l’energia, ha precisato che «le consegne di gas russo alla Cina inizieranno nel 2014 o nel 2015».
L’accordo finale potrebbe essere simile a quello siglato a febbraio di quest’anno per il petrolio. Con il prestito di 25 miliardi di dollari cinesi la Russia costruirà un oleodotto che dalle riserve siberiane porterà in Cina ogni anno 1,5 milioni di barili di greggio al giorno dal 2011, per un totale di 100 miliardi di dollari. Grazie a questo accordo la Cina diventerà il maggior importatore di petrolio russo. Con un’intesa «sull’oro blu» sarà anche il maggior importatore di gas. La scelta non è facile neanche per la Russia. Dare la linfa all’esplosiva economia cinese, che anche in crisi cresce del 7-8 per cento, e contribuire a far diventare la Cina ancora più forte, è una decisione difficile, presa solo in cambio della necessità degli investimenti cinesi in Russia. Prima la Russia preferiva esportare il petrolio in cisterne ferroviarie. Unirsi con gasdotti e oleodotti è come legarsi a una cintura che potrebbe essere un giorno troppo stretta.
Ma sul fronte occidentale i dilemmi sono ancora più forti. L’opposizione di alcuni Paesi al gasdotto North Stream, per «questioni ecologiche nel mar Baltico», ha rallentato la costruzione sottomarina e ha fatto infuriare Putin («Se credono, possiamo anche non farlo!»). La parte sul territorio russo è già pronta e il primo gas dovrebbe arrivare in Germania nel 2011. Il South Stream, progetto Gazprom-Eni sotto il Mar Nero, è stato sorpassato da Nabucco, progetto simile come Paesi-consumatori, ma diverso per fonti di rifornimento (evita la Russia). Non sono risolti nemmeno tutti i nodi dell’accordo Eni-Gazprom. Miller parla di costruzione entro la fine 2015. E poi anche la crisi economica. Nel periodo più nero, all’inizio dell’anno, Gazprom ha visto calare le vendite in Europa del 30%. E la Russia ha deciso di guardare altrove