
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’ultimo rapporto dell’Istat, diffuso ieri, traccia una quadro catastrofico dell’Italia di oggi, con numeri che si riferiscono all’aumento dei disoccupati, ai sacrifici delle famiglie, ai giovani che non studiano e non lavorano, al crollo dei consumi, ai debiti sempre più pesanti dello Stato e delle amministrazioni locali. Ma conclude poi sorprendentemente con la notizia che gli italiani, alla domanda su come viene valutata la propria qualità della vita, rispondono con un voto di super-sufficienza: 6,8 (su 10).
• In base ai dati che abbiamo letto uno si domanda: com’è che non ci sono centinaia di migliaia di persone per strada a gridare la loro disperazione?
Non ci sono, in effetti. Alla manifestazione di sabato scorso a Roma ha fatto sensazione che fossero presenti ventimila persone almeno. È sembrata una percentuale altissima.
• C’è poi l’altra questione: se c’è tanto bisogno di lavorare, com’è che gli italiani tartassati dalla crisi non danno l’assalto ai quattro milioni e mezzo di posti di lavoro degli stranieri non-clandestini.
L’Istat lo ha chiesto. La maggioranza dei cittadini ha risposto che va bene così. La domanda era: sei d’accordo con l’affermazione che gli immigrati sono necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare? Il 61,4% ha risposto di sì. Altra domanda: gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani? Il 62,9% ha risposto di no («non sono d’accordo» oppure «sono poco d’accordo»).
• Allora è una crisi per modo di dire, scusi.
Senta le cifre. Attenzione, non è ammesso dubitare: si tratta dell’Istat. Secondo il nostro Istituto a fine 2012 15 milioni di persone si trovavano in condizione di deprivazione o disagio economico. Si tratta del 25% di tutta la popolazione, cioè un cittadino su quattro, poppanti compresi. Il disagio diventa “grave” per 8,6 milioni di persone (14,3%). Si tratta di una percentuale doppia rispetto a quella di due anni fa (6,9% nel 2010). Il capitolo “giovani sfiduciati” ci vede al primo posto in Europa: si tratta di 2 milioni e 250 mila 15-29enni. Costoro non lavorano e non studiano, soprattutto non intendono lavorare e non intendono studiare. Questa notizia si accompagna bene a quella diffusa l’altro giorno dalla Coldiretti, secondo la quale un quarantenne su quattro vive ancora con la paghetta dei genitori. Sia l’Istat che la Coldiretti ci invitano a considerare la disperazione di questi ragazzi attempati... Andiamo avanti. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra il 2011 e il 2012 è aumentato di quasi 5 punti percentuali, dal 20,5 al 25,2% (dal 31,4 al 37,3% nel Mezzogiorno); dal 2008 l’incremento è di dieci punti. Sono stati relativamente più colpiti, spiega sempre l’Istat, i giovani con titolo di studio più basso, in modo particolare quanti hanno al massimo la licenza media (+5,2 punti). Eppure anche per i laureati non sono rose e fiori: solo il 57,6% dei giovani laureati o diplomati italiani (classe de’età 20-34) trova lavoro entro tre anni dalla laurea. In Europa la media è al 77% e dovrebbe crescere all’82% entro il 2020. All’infingardaggine dei Net, qui bisogna aggiungere il livello penoso, specie se confrontato con gli atenei esteri, dei nostri studi universitari. Secondo l’Istat abbiamo una forza lavoro impiegabile nel processo produttivo pari a 6 milioni di persone. A questo numero si arriva sommando ai 2,74 milioni di disoccupati altre 3,08 milioni di persone che comprendono le categorie degli «scoraggiati» (quelli che il lavoro non se lo cercano) e quella dei «non immediatamente disponibili», gente cioè che adesso non può lavorare perché sta facendo qualcos’altro. Inoltre: nel Paese sono aumentate del 70% le famiglie con figli in cui nella coppia solo la donna lavora: sono passate da 224mila nel 2008 (5% del totale) a 381mila nel 2012 (8,4%), in aumento del 70%. I redditi non bastano però a sostenere i consumi. Nel 2012 il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha registrato una caduta «di intensità eccezionale» (-4,8%). L’Istat ha anche messo in evidenza che al calo del reddito disponibile (-2,2%) è corrisposta una flessione del 4,3% delle quantità di beni e servizi acquistati, la caduta più forte da inizio anni ’90. Cala anche la qualità o la quantità degli alimentari acquistati: la fetta dei nuclei che limano su questi aspetti è passata dal 53,6% al 62,3% e nel Mezzogiorno arriva a superare il 70%. L’anno scorso questa situazione ha portato le famiglie italiane ad una propensione al risparmio tra le più basse nell’Ue. Su tutto questo grava poi il fisco più pesante d’Europa: 44%.
• Commenti dei politici?
Proprio ieri il ministro Giovannini, che prima di guidare il dicastero del Lavoro era a capo proprio dell’Istat, ha annunciato che oggi vedrà i sindacati: «Ci confronteremo con le parti sociali sul lavoro per arrivare a fine giugno con un piano forte».
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