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 2013  maggio 23 Giovedì calendario

MANAGER, POLIGLOTTA, FILOSOFO I TALENTI DI MISTER CLARENCE

MILANO Anche se negli anni felici al Milan l’hanno chiamato in molti modi, e sempre con riferimento alla sua personalità, diciamo così, piuttosto esibita (Guru, Papa, Professore, Sultano del Brunei), la sintesi più felice di Clarence Seedorf la offrì un giorno Antonio Cassano, prima di una conferenza stampa a cui nessun giocatore del Milan voleva andare: «Tranquilli, dai, che tanto coi giornalisti ci va a parlare Obama... ». Clarence non se la prese, anzi la cosa gli piacque assai perché confermava ciò che lui stesso ha sempre pensato di sé: «Mi chiama così per la mia leadership, è chiaro». Seedorf non lo prendi mai in castagna, e se pensi di sfidarlo sul piano dialettico è la tua fine e il suo trionfo: sorta di Socrate caraibico che però ha girato il mondo e conosce almeno sette lingue, adora rispondere a una domanda con una scarica di almeno tre domande, si picca di poterti convincere delle sue idee prendendoti per sfinimento, è un parlatore instancabile. Chiunque, uscito dalla cura-Seedorf, cioè da appena dieci minuti di confronto, comincia a porsi molte domande: su se stesso, sul mondo, sulla vita, e soprattutto su Clarence. Che in ogni caso è un grande personaggio, oltre a essere stato un giocatore fantastico, simbolo del calcio moderno (tecnica sopraffina abbinata a qualità atletiche superiori alla media) per quasi vent’anni, da quando esordì sedicenne nell’Ajax fino allo scudetto 2011 col Milan: in mezzo, quattro Champions con tre club diversi (Ajax, Real e Milan), impresa mai riuscita a nessuno.
Ma a Seedorf i panni del semplice calciatore sono sempre stati stretti. Lui si vede per prima cosa come business man, con interessi in ogni campo. Arrivava a Milanello con l’autista, così nel tragitto da casa al campo poteva sbrigare i suoi affari al telefono col piglio di Gordon Gekko-Michael Douglas in Wall Street. Ha seguito per due anni un corso di management alla Bocconi, poi si è lanciato in una miriade di attività, non sempre coronate dal successo perché il mondo del business è più infido di un campo di calcio: tra le altre cose è stato titolare di una scuderia motociclistica, di una piccola casa editrice, di una gioielleria in via della Spiga, infine ha provato a gestire il Monza calcio ma è finita malissimo, con stipendi non pagati e la cessione delle quote qualche mese fa. Il suo ristorante di cucina fusion, a Milano in Porta Romana, è stato per anni tra i più trendy in città. Perché lui è sempre disposto ad aprirsi a idee nuove, ad allargare i suoi orizzonti. Ai tempi dei ritiri del Milan a Dubai, lo vedevi prima dell’allenamento discutere pensosamente di chissà quali affari con certi principini del Bahrein. Le lingue, per lui, mica sono un problema: prima di Barcellona-Milan, semifinale di Champions 2006, consigliò all’interprete di astenersi dal suo lavoro perché avrebbe fatto da sé, e infatti rispose alle domande in cinque lingue diverse. E’ anche bravo a cantare, il che lo ha fatto sommamente apprezzare da Berlusconi, che sta per affidargli la panchina del Milan. Da dove continuerà a dispensare consigli a 360 gradi, non solo su questioni calcistiche ma su tutto lo scibile umano, perché la dialettica e la maieutica sono il suo mestiere. Come appresero anche quei ladri che una sera del 2005 entrarono armati e coi passamontagna nella sua villa, mentre lui era a cena con moglie e figli: lo riconobbero e a quel punto Clarence ne approfittò per intrattenerli sul tema «rubare non è bello, né giusto, e poi dopo che avete rubato i miei soldi cosa pensate di fare...». Discorso interessante, da simposio, ma purtroppo vano: tra una chiacchiera e l’altra, i banditi lo obbligarono ad aprire la cassaforte e non si fecero affatto redimere, anzi scapparono con 100 mila euro in denaro e gioielli. «Però era gente tranquilla e in fondo la cosa si è svolta in un ambiente sereno», commentò lui nella sua infinita saggezza.