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 2013  maggio 23 Giovedì calendario

UN BANCHIERE PRAGMATICO CHE INVITA A CREARE LAVORO

Non è vero che «nel lungo periodo siamo tutti morti». Ben Bernanke lo sa: restano i nostri figli, poi i figli dei nostri figli. E lo sapeva in realtà anche John Maynard Keynes, a cui si deve quella famosa frase: scriveva e parlava spesso delle Possibilità economiche dei nostri nipoti, la sua concreta utopia.
Bernanke ieri ha parlato molto del lungo periodo. Nel modo giusto, e con toni originali. Ha parlato innanzitutto di disoccupazione ricordando come «danneggi il potenziale produttivo di un’economia», tema classico di chi si concentra sul futuro più lontano, «erodendo le competenze dei lavoratori e impedendo a molti giovani di accumulare competenze ed esperienze sul posto di lavoro». Ha anche ricordato che «la perdita di produzione e guadagni associata con l’alta disoccupazione riduce anche le entrate pubbliche e aumenta le spese sui programmi di sostegno al reddito, portando a deficit di bilancio e ad livelli più alti di debito pubblico». È un discorso, questo, che si può ascoltare anche in Europa, dove però si parla più astrattamente di crescita e non di posti di lavoro e della vita concreta delle persone.
Il linguaggio è importante. Sganciando - nelle parole, evidentemente, non nei fatti - il lavoro dalla crescita, Bernanke non si permette ragionamenti fumosi quando parla di politica fiscale. Le ristrettezze economiche hanno portato molti tra i 50 stati degli Usa - che hanno quasi tutti l’obbligo di pareggio di bilancio – a tagliare 700mila posti sugli 800mila totali scomparsi dal settore pubblico. È l’opposto di quanto avvenne nella recessione del 2001, quando 500mila persone trovarono lavoro nelle amministrazioni. Ora che le cose potrebbero andare meglio, Washington ha deciso di ridurre i disavanzi federali, concentrando i sacrifici nel breve periodo.
Un errore, per il presidente della Fed. I due «obiettivi di ridurre in modo effettivo gli squilibri fiscali di lungo periodo e di minimizzare i "venti di prua" fiscali affrontati dalla ripresa non sono compatibili».
È, questa, una lezione valida anche per Eurolandia, superata com’è quella fibrillazione dei mercati che la costringeva a interventi immediati. Anche qui serve domanda - cosa diversa dalla crescita, tema e spesso problema di lungo periodo - e solo lo stato può fornirla, in recessione. Sono tanti inoltre i paesi, compresa la Germania, che accumulano squilibri futuri. Occorrerebbe però che tutti abbiano fiducia nella capacità del mondo politico di evitare pasticci nell’immediato e di avere idee meno confuse sugli interventi economici e i loro effetti. Non è facile, e soprattutto nei paesi più in difficoltà (a cominciare dall’Italia...).
Bernanke non ha trascurato poi il tema dei prezzi, quello più spesso invocato quando si parla di lungo periodo. Sa bene che iniettando liquidità si possono disancorare i prezzi e spingere i risparmiatori in cerca di rendimenti a rischiare di più. Ridimensionare la spinta espansiva - o, vale lo stesso, tenerla troppo bassa - non risolverebbe i problemi, ha detto: la bassa inflazione calerebbe ancora, la ripresa si arenerebbe. Un’altra lezione inutile per un’Europa troppo ideologica che pensa poco a figli e nipoti.