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 2013  maggio 23 Giovedì calendario

LE LACRIME DI COCCODRILLO DI PREITI «CHIEDO PERDONO A GIANGRANDE»

È passato quasi un mese dalla sparatoria di fronte a Palazzo Chigi. Ormai un mese da quella maledetta mattina - era domenica 28 aprile, giorno del giuramento del governo di Enrico Letta - quando Luigi Preiti ha tirato fuori una pistola e ha sparato alcuni colpi che hanno lasciato a terra due carabinieri in servizio di vigilanza, Giuseppe Giangrande e Francesco Negri.
Ora Preiti ha deciso di rompere il silenzio e dal carcere di Rebibbia nel quale è rinchiuso con l’accusa di duplice tentato omicidio, ha parlato. Per la prima volta. L’occasione è stata la visita in cella del presidente dei deputati Psi, Marco Di Lello. «Non vedete che tutta la gente è incazzata? Le persone si danno fuoco. È dovere dei politici conoscere i problemi dell’Italia. Voi dovete mettere avanti il bene del Paese e non mettervi a litigare». Queste, in un’anticipazione del settimanale Panorama da oggi in edicola, le prime parole rilasciate dallo sparatore. Secondo quanto riferisce il settimanale, a un certo punto dell’incontro l’onorevole Di Lello domanda: «Lei ha detto di voler ammazzare i politici. Io sono un politico e faccio quella strada tutti i giorni. Avrebbe potuto sparare a me? Perchè?».
Secca la risposta di Preiti: «Io lei non la conosco. Altri invece sì».
Chi siano i politici che Preiti conosce, nessuno per ora lo sa.
Il detenuto ha poi spiegato quali sono le sue preferenze politiche: «Ho sempre votato a destra, poi una volta mi hanno convinto a votare Romano Prodi» ha detto l’attentatore, «poi di nuovo destra. Questa volta avevo da fare e non ho votato ma avrei votato Beppe Grillo. E poi, però, Grillo viene fatto fuori».
Preiti ha affermato di stare bene e ha poi aggiunto: «So che devo pagare, è giusto. Ho anche scritto una lettera, ho chiesto scusa al brigadiere e alla sua famiglia».
Nel frattempo, chiusa la fase istruttoria, i difensori di Luigi Preiti - Raimondo Paparatti e Mauro Danielli - sarebbero orientati a chiedere per il loro assistito il rito abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica. Da parte sua la procura, nel ritenere che Preiti sia assolutamente capace di intendere e di volere, sembrerebbe, invece, puntare sul fare il più in fretta possibile. E per questo motivo pare che chiederà il giudizio immediato.
Dopo le relazioni condotte dagli investigatori dei Carabinieri restano però ancora seri dubbi sia sulla pistola sia sul cellulare dell’uomo.
È stato infatti scoperto che a cancellare la matricola della Beretta calibro 7.65 modello 70 usata per l’agguato è stata sicuramente una mano esperta. Nella relazione degli inquirenti, infatti, si legge che «non ci sono sbavature o striature». Restando alla pistola gli uomini del Racis dei Carabinieri hanno poi scoperto che ad essere stato cancellato è stato anche l’anno in cui è stata «legalizzata». Un particolare certo non da poco e che dimostra che la cura usata non poteva essere quella di una persona qualunque, un neofita.
Ma di una persona che sapeva bene quel che stava facendo e in che modo farlo al meglio.
Un fatto questo che avvalorerebbe l’ipotesi che Preiti abbia acquistato l’arma in Calabria o in qualche altro luogo e non al mercato clandestino di Genova come l’attentatore ha sempre sostenuto. Ma soprattutto potrebbe far pensare che l’attentatore si sia servito della consulenza di qualcuno. Più esperto di lui.
Su questo fronte, però, non sono arrivate conferme dalle analisi condotte dagli uomini del Racis sul cellulare dell’uomo. Il telefonino, infatti, come noto è intestato a un cittadino dello Sri Lanka, e sarebbe «rimasto muto» nelle 48 ore precedenti l’attentato. Un segnale che, secondo gli inquirenti, farebbe pensare al fatto che quella fosse un’utenza «dedicata», ossia utilizzata in modo tale da non lasciare altre tracce.
Un secondo segnale che dimostrerebbe il fatto che il gesto dell’uomo non fosse certo improvvisato, ma studiato fin nei particolari con estrema meticolosità. Resta al processo ora svelarci altri particolari.