Andrea Giardina, ItaliaOggi 23/5/2013, 23 maggio 2013
DEUTSCHE BANK È MENO TEDESCA
Oggi all’assemblea della Deutsche Bank, Anshu Jain ha promesso di parlare tedesco. Quando l’anno scorso venne nominato a capo della più grande banca tedesca, nella lingua di Goethe sapeva dire appena Guten Tag. Imparerò, promise, e, in parte, ha mantenuto la parola. Ma, dopo l´esordio, continuerà in inglese che, almeno nei grattacieli di Francoforte, tutti capiscono.
Non si tratta di una piccola notizia di colore. La Deutsche Bank, è tornata all´antica prassi di essere guidata da una coppia di Speaker, letteralmente di portavoce, come i consoli romani. Ma uno è sempre stato più importante, come è il caso del cinquantenne Jain, cittadino britannico con radici indiane, affiancato dal tedesco Jürgen Fitschen, 64 anni. Il loro predecessore era lo svizzero Josef Ackermann, che almeno parlava tedesco sia pure con accento alpino. La Deutsche Bank non è solo tedesca perché si definisce tale. Fa parte della storia e ha fatto la storia, nel bene e nel male, dall’ultimo Kaiser Wilhelm II, alla Grande Guerra, attraverso la Repubblica di Weimar al nazismo, ancora una guerra, la divisione delle Germanie, e la ricostruzione.
Senza esagerare nella retorica, la Deustsche Bank non si è fatta sempre guidare dalla ricerca del profitto, o non di quello immediato. Una banca ha, o aveva, o dovrebbe avere, anche una funzione sociale, e a volte gli speaker della DB hanno preso decisioni più utili al paese che al suo bilancio.
Alfred Herrhausen era un amico personale di Helmut Kohl, lo consigliò su come attuare la riunificazione, che all´inizio non sarebbe stato un grande affare, e infatti i terroristi della Baader Meinhof lo uccisero tre settimane dopo la caduta del Muro, il 30 novembre 1989. Ma gli azionisti della DB sono sparsi in tutto il mondo, e «io sono tenuto innanzi a loro ad ottenere il massimo profitto», disse Ackermann.
E sono cominciati i problemi. Martedì sera, lo ZFF, il secondo canale nell´ora di punta ha trasmesso un documentario sulle magagne della Deutsche Bank, come se fosse un film giallo alla Derrick. Colpe gravi o minori, non sempre imputabili ai dirigenti ma che vedono coinvolta la banca. Anche Ackermann finì in tribunale. Sono peccati e non sempre reati, ma imperdonabili per un’istituzione tedesca.Jain e Fitschen si presentano per la prima volta a rendere conto del loro operato in assemblea. Un anno fa avevano promesso una Kulturrevolution: si dovrà prestare più attenzione ai piccoli clienti, come in passato. La rivoluzione non è avvenuta. Hanno solo ridotto il personale e i costi, senza dimenticare il loro stipendio: appena 2,3 milioni di euro a testa che, con vari benefit e premi arriva a 4,8 milioni. Non molto in confronto ai colleghi.
Però molti azionisti non sono soddisfatti, e oggi chiederanno ai due di rinunciare ai premi. Le decisioni prese nell’investment banking non sono ritenute soddisfacenti, nonostante che l’ultimo trimestre sia stato il migliore di tutti i tempi, e Jain abbia portato in cassa tre miliardi di euro di denaro fresco. Che chiedere di più? Ma, commenta il settimanale Der Spiegel, gli investitori stranieri hanno sempre più voce, la sede della Deutsche Bank rimane a Francoforte solo formalmente, di fatto è traslocata da tempo a Londra.