
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Se clicchiamo su Google le parole «Italia malata d’Europa», titolo di El País di qualche giorno fa, escono fuori 481 mila risultati, e i vari testi si riferiscono non solo all’agosto 2016, ma anche a mesi e anni precedenti, di sicuro a partire come minimo dal 2011, quando l’Europa pretese la testa di Berlusconi, ultimo responsabile del disastro dei nostri conti pubblici. Lo si dice per mettere in rilievo che l’allarme lanciato da quattro grandi giornali del mondo sullo stato della nostra finanza non è una novità. Da quando è cominciata la crisi dei subprime, l’Italia è di continuo additata come «la malata d’Europa».
• Che cosa dicono i quattro giornali stavolta? E che giornali sono? El País, Le Monde, il Financial Times e il Wall Strett Journal. Si tratta quasi quasi dello stesso pezzo, provocato dall’annuncio dello scorso venerdì, quello di cui abbiamo parlato anche noi. A sorpresa, l’Istat ha annunciato che, nel secondo trimestre dell’anno, il Pil, cioè il Prodotto Interno Lordo, vale a dire tutto quello che produciamo e che consumiamo, è rimasto fermo, e che su base annua invece di crescere dell’1,2 per cento, stima già abbassata rispetto a precedenti speranze, dovremo accontentarci di un +0,7, o un +0,6, davvero poco, specie se confrontato, per esempio, con la crescita della Spagna del 3,2%. Sulla base di questo dato stagnante, i quattro giornali hanno messo insieme un po’ di altri numeri e lanciato il solito allarme: Italia malata d’Europa.
• Che numeri?
Il debito che continua a crescere (2.249 miliardi a giugno contro i 2.172 di gennaio), la disoccupazione che sta all’11,6 contro una media dell’Eurozona di 10,1, il 36,5% di giovani senza lavoro (in Europa il 20,8). E simili.
• Non è la stessa storia da un pezzo?
Perché i giornaloni entrano in fibrillazione proprio adesso? Perché c’è il referendum e la possibilità concreta, almeno stando ai sondaggi delle ultime settimane, che Renzi lo perda. Ecco lo scenario che i quattro giornali evitano di descrivere minutamente, forse per non contribuire al panico dei mercati: Renzi perde il referendum e si dimette, entriamo in una crisi politica di cui nessuno vede l’uscita e che si prolunga per molte settimane. Nel frattempo, per non correre rischi, i fondi di tutto il mondo vendono i titoli del debito italiano, deprezzandoli. Sto parlando di bot, btp, ctz e quant’altro. Chi detiene una grande quantità di questi titoli? Le banche italiane. Nonostante gli ammonimenti tedeschi, infatti, quando la brava signora Cannata organizza le aste per le nostre nuove emissioni, le banche italiane, per tacito accordo col governo e forse per una forte persuasione morale da parte della Banca d’Italia, comprano. C’è anche un minimo di tornaconto, in questo, perché le banche italiane dànno subito in garanzia una parte dei titoli del debito italiano alla Banca Centrale Europea e ottengono in cambio euro freschi. E tuttavia, le cassaforti delle banche italiane sono piene di questi bot, btp e ctz.
• Dov’è il problema?
Se dopo la sconfitta di Renzi al referendum gli speculatori di tutto il mondo si mettono a vendere i nostri titoli e con ciò a deprezzarli, le banche italiane, già in croce per via dei 300 e passa miliardi di crediti marci (prestiti da cui non si riesce a rientrare), si troveranno costrette prima o poi a svalutare il loro patrimonio in titoli, e quindi a chiedere agli azionisti nuovi capitali per mantenere in equilibrio i rapporti pretesi dall’Europa tra debito e capitale. Lei vede molta gente, in Italia, disposta a mettere soldi nelle banche italiane? Io no. E ne vedo molto poca anche all’estero. Se il sistema bancario italiano dovesse entrare nella crisi definitiva...
• Che si può fare?
I quattro giornali, e soprattutto il Financial Times, dicono che bisogna concedere a Renzi tutta la flessibilità necessaria a migliorare i numeri e vincere il referendum. Il Wall Street Journal ha addirittura scritto che il referendum di fine novembre «è più importante del voto sulla Brexit e più cruciale delle riforme economiche e fiscali che Renzi potrebbe mettere in campo: la politica è la chiave, e il referendum marcherà una svolta importante per l’Italia e l’Europa». In altri termini: se Renzi vi chiede una flessibilità di dieci miliardi, per favore dategliela. Guardi che probabilmente accadrà proprio questo: spaventati dall’ignoto rappresentato dalla vittoria del no, gli europei daranno a Renzi tutto quello che vuole. La faccenda pare così conveniente per il nostro premier, che c’è quasi da sospettare delle stime di venerdì scorso. Non sarà che una volta tanto i dati, invece di essere aggiustati verso l’alto, sono stati aggiustati verso il basso?
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