Alberto Mingardi, La Stampa 17/8/2016, 17 agosto 2016
CINQUE BUONE RAGIONI PER NON FARSI TENTARE DAL DEBITO
Il rendimento dei titoli di Stato è al minimo storico, non sarà venuto il momento di tornare a indebitarsi? Il governo è perennemente impegnato a strappare più «flessibilità» a Bruxelles. Fare più deficit parrebbe razionale, se i nostri creditori si accontentano di un interesse tanto modesto. C’è chi vorrebbe più spesa per fare investimenti (non è chiaro quali). E c’è chi, più prosaicamente, pensa ad aiutare specifici gruppi sociali. L’articolo 81 ci obbligherebbe all’equilibrio fra entrate e uscite nel bilancio pubblico: ma è un caso in cui la Costituzione più bella del mondo non piace a nessuno, e ne viene allegramente rimandata l’applicazione. L’Unione europea ci chiede invece di non abbassare la guardia, perché il debito italiano rappresenta un fattore di rischio per tutta l’Eurozona. Ci sono però almeno cinque buoni ragioni, che non riguardano Bruxelles ma soltanto noi, per non aumentare il disavanzo.
IL RISCHIO PAESE
Un debito così alto non riguarda solamente lo Stato, ma condiziona la performance delle imprese e allontana gli investimenti esteri. L’alto debito riduce il rating del nostro Paese: nessuna impresa, salvo rarissime eccezioni, ottiene un rating superiore allo Stato in cui opera. Pertanto, le aziende di un Paese fortemente indebitato finiscono per pagare un tasso di interesse superiore a quello pagato dalle loro concorrenti. I costi che sostengono sono più alti, e così i prezzi che possono praticare. Sarà più probabile che quelle ditte perdano quote di mercato. In un Paese fortemente indebitato, insomma, la crescita economica sarà minore e l’occupazione faticherà a riprendersi.
IL RISCHIO MONETARIO
Spendiamo di meno per gli interessi sul debito grazie ai tassi bassi, che sono l’esito di politiche monetarie espansive. Il governo utilizza i quattrini così risparmiati per sostenere altre spese. Ma che succederà al bilancio pubblico una volta che i tassi d’interesse si riposizioneranno su un livello più normale? Succederà che il deficit di bilancio comincerà a crescere repentinamente. Fare nuove spese è un’operazione semplice e veloce, ridurle non lo è affatto. Il rating dello Stato peggiorerà ulteriormente. Gli «aggiustamenti» di bilancio sono difficoltosi, gli italiani lo sanno bene, e sotto pressione dei mercati tendono a essere fatti sul lato delle entrate: più tasse per tutti.
IL RISCHIO BANCARIO
Fra le altre peculiarità, le nostre banche hanno in portafoglio più titoli di Stato di quelle di altri Paesi. Ogni tensione sul bilancio pubblico si può tradurre in un problema di stabilità bancaria. Contenere il ricorso all’indebitamento contribuirebbe, indirettamente, a stabilizzare la situazione degli istituti di credito.
LA VARIABILE COSTI
Il costo-opportunità di indebitarsi non è zero, anche se i tassi tendono allo zero. Lo ha ricordato l’economista Tyler Cowen (marginalrevolutions.com). Facendo deficit, il governo vorrebbe in ultima analisi mobilitare risorse «reali»: lavoratori e macchinari che, venendo impiegati per un certo fine, non potranno esserlo per altri. Perché il gioco valga la candela, deve accadere una di queste due cose: o il fine individuato dal governo risulta più «produttivo» di quelli che sceglierebbe il settore privato (per esempio, un’autostrada che abbassa i costi delle transazioni al punto da moltiplicarle significativamente) o debbono esserci molti lavoratori e macchinari «fermi», inattivi. Lo Stato dovrebbe però essere in grado di mettere in azione proprio questi ultimi, cosa non probabilissima, dal momento che la spesa pubblica passa per enti controllati dallo Stato stesso o per il tramite di alcune grandi aziende che vivono di commesse. La nostra fiducia nelle politiche «di stimolo» dal modo in cui rispondiamo a questa domanda: la classe politica è capace di selezionare gli investimenti «giusti»?
INVESTIMENTI
Forse il maggior problema dell’economia italiana degli ultimi 10 anni è la caduta degli investimenti. Più debito oggi promette più tasse domani. Questo significa che chiunque pensi di costruire un nuovo capannone o di mettere a disposizione capitale di rischio ha il fondato timore che in futuro, quando la scelta che ha fatto dovrebbe cominciare a produrre rendimenti, ci pagherà sopra imposte più elevate. Ne trarrà entusiasmo e fiducia, o penserà a impiegare i suoi quattrini altrove? Per Adam Smith, quella che sarebbe prudenza nella gestione del bilancio familiare «difficilmente può risultare follia nel governo di un grande regno». E’ il buon senso, più che l’Europa, a suggerirci di non tornare alla finanza (pubblica) creativa.
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Alberto Mingardi, La Stampa 17/8/2016