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 2016  agosto 17 Mercoledì calendario

A PESARE DI PIÙ SUI PREZZI SONO LE MOSSE DI RIAD

Il greggio Brent nell’ultima settimana ha guadagnato 5 dollari, ritornando sui 45, livello, però, ancora inferiore di 5 dollari dai picchi di 50 di inizio giugno. La riunione Opec del 2 giugno aveva lasciato presagire una maggiore disciplina dei produttori, invece, l’offerta è continuata a salire. Con la minaccia di rivedere i 30 dollari di gennaio, da una settimana sono tornate le buone intenzioni e di fatto è stata convocata una riunione straordinaria Opec per il 25 settembre ad Algeri. Chi conta, come sempre, è l’Arabia Saudita nel suo perenne avvicinarsi e riallontanarsi dall’Iran. A giugno ci aveva fatto credere che fosse finita la fase di scontro e che fosse giunto il momento di una politica più attenta ai prezzi, quella che auspica l’Iran. Invece, a luglio ha prodotto 10,7 milioni di barili giorno, nuovo record, superiore di 0,4 anche a quelli storici del 1981. Dal 1973, quando l’Opec prese le redini del mercato, la produzione media saudita è stata di 8 milioni di barili al giorno, con periodi, fra gli anni 80 e 90, in cui si tenne stabile intorno ai 5 milioni barili giorno. Per gran parte della sua lunga storia petrolifera, l’Arabia Saudita ha prodotto molto meno dei picchi attuali e le basterebbe poco per ridare equilibrio e far risalire i prezzi verso i 70 dollari. Una sua riduzione di 0,5 milioni barili giorno, il 5%, potrebbe essere seguita da azione simile degli altri membri e portare il taglio complessivo, a 1-1,5 milioni di barili al giorno. Due sono le ragioni che attardano i sauditi a prendere una simile decisione:
La più importante, di carattere politico, è che in questo periodo di guerre per procura in Medio Oriente non è il caso di fare favori all’Iran che, peraltro, vuole riportare la sua produzione ai livelli precedenti le sanzioni di 4 milioni di barili al giorno, contro gli attuali 3,6.
In secondo luogo, come accade nel resto del mondo, anche in Arabia Saudita i tempi di realizzazione dei progetti sono di diversi anni, ben più lunghi di quelli dei prezzi che, invece, sono dell’ordine dei minuti; molti progetti, decisi 3 o 4 anni fa quando i prezzi erano stabilmente sopra i 100 dollari, sono in fase di completamento in questi mesi.
Sul primo punto, è possibile sperare solo in qualche momentanea attenuazione delle tensioni, mentre per il secondo è sufficiente attendere la fine dell’anno, quando tutti i progetti saranno finiti.
Un accordo Opec più stabile lo vogliono tutti gli altri membri. Ne ha disperato bisogno il Venezuela, il Paese più ricco di riserve di petrolio al mondo, dove, nonostante ciò, la gente è ridotta alla fame. La Nigeria ha già di fatto ridotto la produzione di 0,3 milioni barili giorno a 1,7, causa la guerriglia interna. La Libia è assente da due anni dal mercato. L’Algeria ha difficoltà non molto diverse dal Venezuela, solo che non si vedono. Angola, Ecuador, Gabon, Paesi con produzioni piccole, ma politicamente importanti, lo vogliono. Emirati, Qatar e Kuwait fanno quello che dice Riad. L’Iraq, che da anni continua ad aumentare la sua produzione, deve fermarsi e sperare in prezzi più alti. Lo vuole ovviamente l’Iran, che, peraltro, ha difficoltà ad aumentare ulteriormente la produzione, causa mancati investimenti, sempre per sanzioni, negli ultimi anni.
Molta scena, ma poca sostanza, per quanto riguarda le dichiarazioni della Russia circa azioni coordinate con i sauditi. È dai tempi dei comunisti negli anni 80 che arrivano simili promesse che non hanno mai portato ad alcuna azione concreta.
Il calo di luglio dei prezzi era stato favorito anche dai segnali di rallentamento dei consumi, dopo la revisione al ribasso della crescita economica mondiale. Tuttavia, seppur rallentata, la domanda continuerà a salire anche nel 2016, più 1,3 milioni di barili al giorno, in linea con il trend storico. Dal 2008, quando i prezzi a luglio superarono i 140 dollari, la domanda globale è salita di 10 milioni barili al giorno, un’Arabia Saudita in più, a 96,6 milioni nel 2016. Con bassi prezzi, la crescita nei prossimi 10 anni sarà ancora più sostenuta e, visto il pesante taglio degli investimenti al di fuori dell’Opec, sarà il cartello che se ne farà carico. Come usa ripetere fino alla noia il ministro saudita Al Falih, occorre pazienza, ma il mercato si riprenderà.
Davide Tabarelli, Il Sole 24 Ore 17/8/2016