Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 17 Mercoledì calendario

YEMEN, LA GUERRA DI SERIE B CHE NON INDIGNA NESSUNO

Un’altra “guerra dimenticata” nel cuore del mondo arabo. E ancora una volta è un ospedale a esser preso di mira dalle bombe. L’ultimo del drammatico elenco è un nosocomio gestito da Medici Senza Frontiere (Msf) nell’est dello Yemen, non lontano dal Mar Rosso. Il bilancio dei raid di lunedì scorso è di undici morti, dieci pazienti e un ingegnere dell’organizzazione. E all’ennesimo dolore si aggiunge la rabbia, con specifici atti d’accusa. “Colpiti da un attacco aereo saudita”, riferisce Msf, sottolineando che “le coordinate Gps della struttura erano state rese note a tutti gli schieramenti del conflitto”. Atto deliberato, dunque, o almeno colpevole negligenza “nonostante la recente risoluzione delle Nazioni Unite che chiede di porre fine agli attacchi contro le strutture mediche”. Questa era stata costruita un anno fa, ha soccorso oltre 4600 pazienti ed è ora quasi del tutto distrutta, tant’è che la strage poteva essere ben più grave: al momento del bombardamento c’erano 23 pazienti in chirurgia, 25 nel reparto di maternità (tra cui 13 neonati) e 12 in pediatria. Per Msf il colpo è durissimo, anche perché segue di pochi giorni la distruzione di un’altra sua struttura, lo scorso 6 agosto, nella città siriana di Idlib. La guerra non si ferma dinanzi a nulla, neppure ai soccorritori, tant’è che nella sola Siria si contano almeno 8 centri medici attaccati dall’inizio dell’anno. Quattro quelli attaccati finora nell’ambito del conflitto nello Yemen, di cui si parla ancor meno seppur con analoghi livelli di violenza verso la popolazione. Dei circa 7000 morti stimati finora, almeno la metà sono civili: solo ieri altre 12 vittime, in un raid attribuito alla coalizione saudita. La guerra esplose tra due fazioni che rivendicano il governo del paese, ossia le forze Huthi che da due anni controllano la capitale Sanaa e sostengono l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, e quelle fedeli al successore Abd Rabbuh Mansur Hadi, messo in fuga nel gennaio 2015 dal Palazzo presidenziale, dove si era insediato nel 2012 in un’elezione in cui era l’unico candidato.
A margine dei nodi di potere, lo scontro riflette i connotati di una disputa tra, rispettivamente, sciiti e sunniti, col probabile supporto militare delle rispettive cancellerie “amiche”, Iran e Arabia Saudita in primis, nonché di milizie jihadiste, da Al Quaeda all’Isis. Lo Yemen non rappresenta in sé un territorio ambito dal punto di vista economico, non disponendo delle ampie risorse petrolifere dei paesi vicini, quali l’Arabia. Lo è dal punto di vista strategico, per la posizione geografica e la stessa composizione religiosa della popolazione, sostanzialmente alla pari tra le due comunità. L’Onu ha talora criticato i raid sauditi (come quest’ultimo), ma ha indirizzato le sanzioni solo verso i miliziani sciiti. Vani i “cessate il fuoco” proclamati periodicamente, in una guerra che, in realtà, non nasce l’anno scorso bensì nel 2003. I primi violenti scontri tra Huthi e forze governative si innescarono nell’ambito delle manifestazioni contro l’intervento americano in Iraq.
di Alessandro Cisilin, il Fatto Quotidiano 17/8/2016