varie, 17 agosto 2016
GRANDE MURAGLIA PER SETTE
Secondo l’amministrazione statale per il patrimonio culturale cinese (Sach), solo il 10% della Grande Muraglia è ben conservato. L’amministrazione ha annunciato ispezioni periodiche e controlli a campione lungo i 21mila chilometri di parete per assicurarsi che i comuni applichino le misure di prevenzione introdotte un decennio fa. La colpa del cattivo stato è un po’ degli agenti atmosferici, ma soprattutto di contadini e turisti, che prelevano sassi e mattoni, usati rispettivamente come materiale da costruzione e souvenir (Attanasio Ghezzi, Sta).
Il nome cinese della Grande Muraglia: «Wanli changcheng», Lunghe mura dei diecimila li (il «li» è un’unità di misura tra i 415 e i 500 metri).
La Grande Muraglia che visitiamo oggi si snoda attraverso 15 regioni, dal deserto del Gobi alla Mongolia fino al Mar Giallo, ed è in buona parte databile alla dinastia Ming che ha governato la Cina tra il 1368 e il 1644.
Fino al 2009 si stimava che la Grande Muraglia si estendesse per 6.350 chilometri, dalle coste orientali dello Shandong fino al Deserto del Gobi nella provincia centro settentrionale del Gansu: poi una misurazione con l’aiuto di raggi infrarossi e sistema Gps ha allungato il percorso fino a 8.851 chilometri. E ancora nel 2014 gli archeologi hanno scoperto dieci chilometri di fortificazioni a Ovest del Gansu, in una zona dove non si immaginava che fosse arrivato l’immenso cantiere difensivo. Se si considerano le fortificazioni a ridosso dell’opera originaria, accavallatesi nei secoli, l’estensione effettiva dell’opera, secondo alcuni studiosi, è di 21 mila chilometri.
L’altezza varia da 4,5 a 12 metri, lo spessore raggiunge i 9 metri e mezzo.
La Grande Muraglia è la più vasta opera mai realizzata dall’umanità.
Nel 1938 Richard Halliburton nel suo Secondo Libro delle Meraviglie s’inventò che la Grande Muraglia è l’unica costruzione umana visibile dalla luna. L’affermazione sembrava così verosimile che nessuno la mise in dubbio, finì sui manuali scolastici inglesi dell’epoca. Molte guide turistiche continuano a ripeterla. La forza di autosuggestione è tale che un astronauta americano, Jake Garn, sostenne di averla riconosciuta a occhio nudo mentre era in missione sullo Space Shuttle Discovery nel 1985 (i suoi colleghi in seguito lo hanno smentito, compresi due astronauti cinesi; in realtà la Grande Muraglia è visibile solo da un’orbita fra i 160 e i 320 km dalla terra ma a quella distanza lo sono anche altre grosse costruzioni).
La Grande Muraglia, patrimonio Unesco dal 1987.
Inserita nel 2007 fra le sette meraviglie dle mondo moderno.
È il sito archeologico più visitato del Pianeta (10 milioni di visitatori nel 2016).
La realizzazione richiese otto anni di lavoro.
Gli schiavi morti durante la costruzione della Grande muraglia furono almeno un milione, vittime di sfinimento e malnutrizione.
Secondo la leggenda gli schiavi morti durante la costruzione furono seppelliti all’interno della muraglia. In realtà resti umani sono stati trovati nei pressi delle mura ma mai all’interno. D’altronde i corpi - qualora parte integrante del muro - decomponendosi, avrebbero destabilizzato la struttura.
L’antica favola di Fan e Meng che si racconta ai bambini. Il giovane contadino Fan Qi Liang venne deportato 2.200 anni fa, fu uno dei primi nell’esercito di schiavi impiegati a edificare la Grande Muraglia. Dopo anni di assenza sua moglie Meng Jiang Nu andò a cercarlo e le dissero che era morto, sepolto dentro le mura stesse che stava costruendo. Lei pianse finché il torrente delle sue lacrime aprì una breccia nella fortificazione, e il suo sangue si unì a quello del marito.
Iniziata a costruire a tratti intorno al 220 prima di Cristo per volontà dell’imperatore Shi Huangdi (dinastia Qin), il primo unificatore della Terra di Mezzo, la fortificazione dei confini sarà poi rilanciata e ingrandita lungo il suo tracciato moderno solo dalla dinastia Ming (1388-1644). In realtà come dispositivo bellico fu un fallimento clamoroso. Non impedì affatto le invasioni dei popoli nomadi che avrebbe dovuto contenere, né le incursioni degli unni né tantomeno l’occupazione e il lungo dominio dei mongoli. Rimase invece come il simbolo di una frontiera più culturale che geografica, una linea di demarcazione fra la civiltà e i barbari. Un confine oltre il quale i cinesi hanno sempre visto l’arretratezza e il caos, in contrapposizione all’ordine millenario dell’Impero Celeste. Tuttora, è al di là degli ultimi contrafforti della Grande Muraglia che per i cinesi comincia idealmente il loro Far West, le vaste zone semidesertiche della Mongolia, dello Xinjiang islamico e del Tibet da conquistare e colonizzare.
«La grande muraglia non è tanto una difesa per tener fuori gli estranei quanto un recinto per tener dentro i propri simili» (Bruce Chatwin)
In origine si trattava di una struttura di terra battuta, poi si aggiunsero pietre e rocce, mattoni. Si innalzarono torri di difesa e di avvistamento, camminamenti.
Uno studio pubblicato dal Journal of the American Chemical Society ha svelato che il composto utilizzato per fissare i mattoni della Grande muraglia era un miscuglio di calce e «riso glutinoso», un riso il cui nome latino è oryza sativa, molto diffuso in Asia, le cui principali proprietà sono un alto contenuto di zuccheri e una particolare collosità una volta cotto. Malgrado il nome, non contiene davvero del glutine, ma è reso colloso dalla presenza di amilopectina, un polisaccaride, e amilosa. Millecinquecento anni fa, quando questa pasta di riso fu inventata, la Cina era sotto la dinastia Sui, che regnò dal 581 al 619 intraprendendo diverse opere ciclopiche, fra cui il restauro della Grande Muraglia. Gli studiosi hanno anche verificato che questa malta composta da elementi organici ed inorganici, con un alta percentuale di «riso colloso», è molto resistente all’acqua. E infatti veniva impiegato anche nella costruzione di alcune tombe sotterranee, sempre nel corso della dinastia Sui e in quella successiva, la dinastia Tang (618 – 907).
Per gli occidentali il fascino della Grande Muraglia fin dalla sua scoperta fu irresistibile. Lo stupore e l’ammirazione occidentale traspare dal fatto che i resoconti dei primi visitatori attendibili furono immediatamente riversati sulle nostre carte: la prima è l’atlante di Abraham Ortelius stampato nel 1584 ad Anversa, Chinae, olim Sinarum regionis descriptio, dove i torrioni cinesi sono disegnati più alti delle catene montuose. La più bella è la carta di Martino Martini, il Novus Atlas Sinensis stampato ad Amsterdam nel 1655: lì la Grande Muraglia è una vistosa striscia rossa che si staglia su tutto il Nord della Cina.
Non fu un cinese bensì un americano a realizzare la prima mappatura scientificamente precisa: il geologo Frederick Clapp, inviato a cercar petrolio in Manciuria, nel 1920 pubblica sulla rivista dell’American Geographical Society la ricostruzione integrale del tracciato della Grande Muraglia, su scala 1: 2.000.000.
Cent’anni fa si inerpicava su queste rovine William Edgar Geil, missionario americano venuto in Cina per diffondere la fede cristiana, appassionato di fotografia, antesignano del trekking di montagna in condizioni estreme. Fu il primo uomo al mondo - cinesi inclusi - ad aver percorso la Grande Muraglia per tutta la sua lunghezza, dal 1907 al 1908. Strada facendo realizzò un reportage fotografico che testimoniava lo stato in cui si trovava la fortificazione all’inizio del secolo scorso.
Cent’anni dopo il fotoreporter inglese William Lindesay ha ripetuto l’impresa di Geil. Lindesay ha percorso più di 2.700 chilometri a piedi lungo la Grande Muraglia. La sua prima scoperta: «Per metà del percorso la Grande Muraglia è invisibile, non riuscivo più a scoprirne neanche le tracce remote». Ad esempio un maestoso torrione fotografato da Geil nel 1907, nella provincia dello Hebei a est di Pechino, era semplicemente scomparso.
La Grande Muraglia attraversa zone impervie e inaccessibili, dirupi scoscesi e burroni pericolosi, come le gole Qilian lungo il fiume Taolai. In qualche caso il lavorìo del tempo ha generato meraviglie. Nel deserto del Gobi l’erosione ha scolpito le mura che si mimetizzano come dei canyon spettrali. Nel Gansu le tempeste di sabbia hanno stravolto la fisionomia originaria delle fortezze al punto che alcune ora sembrano voler ricordare le "stupa" indo-tibetane, altre evocano forme di piramidi mesopotamiche.
La prima violenza alla fortificazione è venuta dalla guerra moderna: i giapponesi, ma anche l’esercito nazionalista cinese e poi quello comunista non hanno esitato a sacrificare tratti interi della Grande Muraglia bombardandoli senza pietà (una di queste battaglie è immortalata al Museo di Pechino in una copertina della Domenica del Corriere, 15 gennaio 1933). Le Guardie rosse della Rivoluzione culturale la coinvolsero nella loro furia distruttrice di ogni cimelio storico.
Lunghi tratti della fortificazione antica ormai sono affiancati dalle autostrade o sommersi tra i palazzi, nella morsa di cemento delle città che si allargano. Un identico tratto della muraglia nel Gansu che nel 1910 Geil fotografò intatto per dieci chilometri, oggi nelle immagini di Lindesay è attraversato da due linee ferroviarie, l’autostrada 312, una strada statale, quindici strade sterrate, diciassette tralicci dell’alta tensione, un gasdotto.
Oggi i torrioni sono ricoperti da una fiumana di visitatori così sconfinata da nascondere lo stesso monumento. A Badaling, una delle sezioni della cinta più vicine a Pechino, in una giornata media passeggiano sui contrafforti centomila visitatori. Tutt’intorno, continuano a spuntare hotel, ristoranti, megaparking per torpedoni, supermarket di ricordi.
A Mutianyu, una sezione di Grande Muraglia 70 km a Nordest di Pechino, per evitare che i turisti spargessero le loro firme su tutte le antiche pietre, le autorità hanno deciso di concedere ai graffitari una torre per sfogarsi.
Già nel 1907 Luigi Barzini, impegnato nel rally Parigi-Pechino, commentava: «Non rimangono che le torri. Fra l’una e l’altra si distende un lungo cumulo di sassi».
L’emergenza era evidente già alla fine degli anni Settanta, quando l’allora capo supremo del Partito Comunista, Deng Xiaoping, lanciò una campagna basata sullo slogan «Ama il tuo paese, ricostruisci la Grande Muraglia». All’epoca, due terzi della sterminata fortificazione erano già in condizioni disastrose.
La Grande Muraglia è una barriera per la differenziazione genetica. L’università di Pechino ha esaminato campioni di Dna prelevati da sei specie di piante. La stessa specie è geneticamente differente se cresce da una parte o dall’altra del muro, alto 6 metri: risultano isolate le piante che sfruttano il vento per impollinarsi, a differenza di quelle impollinate dalle api.
Scriveva Mao: «Budao Changcheng fei haohan», chi non è mai stato sulla Grande Muraglia non è un vero uomo.