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 2016  agosto 17 Mercoledì calendario

I BUCHI (UN PO’ MENO) NERI COME LI HA PREVISTI HAWKING

Da quarant’anni il geniale astrofisico britannico Stephen Hawking sostiene una tesi che attende conferma su uno dei misteri più intricati dell’universo. I buchi neri, ha dimostrato con i suoi calcoli teorici, nel loro inghiottire continuo della materia che li circonda perdono anche un po’ di energia e nell’arco dei miliardi di anni finirebbero per svanire del tutto. I mostri del cielo non sarebbero quindi così invincibili come immaginato.

Le osservazioni con i telescopi terrestri o spaziali non hanno ancora confermato l’idea dello scienziato imprigionato sulla sedia a rotelle da un male incurabile che gli ha tolto la voce ma non la straordinaria capacità di pensare e in qualche modo di comunicare.

Per capire meglio con diversi esperimenti in laboratorio si è cercato di raccogliere qualche indizio. L’ultimo in ordine di tempo lo ha tentato Jeff Steiner dell’Istituto di tecnologia di Haifa in Israele e il risultato spiegato sulla rivista Nature Physics sembra fornire qualche conferma. Un buco nero si forma se una stella supera 25 volte la massa del nostro Sole. Alla fine della sua vita, quando il combustibile interno ha smesso di alimentare l’immensa fornace e tutta la materia collassa su se stessa, se ciò che rimane ha ancora una massa 2,5 quella del nostro astro il destino inesorabile è la creazione di un buco nero.

E la forza di gravità che esprime è talmente intensa da impedire anche a un raggio di luce di sfuggire. Per questo è impossibile osservarli e la loro esistenza si coglie indirettamente per la radiazione X emessa dalla materia che, surriscaldata violentemente, viene inghiottita dal mostro celeste. Oppure per il movimento anomalo delle stelle che — a una certa distanza di sicurezza — gli ruotano intorno.

Ma Hawking indagando il fenomeno ritiene che ai suoi confini, nel cosiddetto «orizzonte degli eventi», si formino delle coppie di particelle; e che quelle con energia negativa siano divorate dal mostro, mentre quelle con energia positiva sfuggano nello spazio. Queste ultime sono state battezzate «radiazione di Hawking», la cui emissione finirebbe per indebolire il buco nero sino a portarlo alla dissoluzione.

Nel suo laboratorio Steiner ha simulato un buco nero raffreddando un gas quasi alla temperatura dello zero assoluto (meno 273 gradi centigradi), poi usando onde acustiche e raggi laser ha riprodotto le condizioni possibili del fatidico «orizzonte degli eventi».

Il risultato sembrerebbe generare qualcosa di simile alla radiazione di Hawking. «L’esperimento è interessante — nota Massimo Turatto, direttore dell’osservatorio astronomico di Padova-Asiago — perché probabilmente ha visto degli effetti quantistici equivalenti a quelli reali. Ma se l’indicazione può essere valida perché si produce una statistica simile, rimane però l’incertezza di una simulazione lontana dalla vera realtà del fenomeno. La ricerca comunque contiene tutto il fascino di una delle esplorazioni più ardue dell’astrofisica».

Anche al centro della nostra galassia Via Lattea — ai cui confini noi abitiamo — c’è un buco nero con una massa quattro milioni di volte più grande di quella del Sole. Qualcuno ha ipotizzato persino che riesca a divorare in futuro l’intera isola stellare. Per sconfiggere i catastrofisti non c’è che da sperare che Hawking abbia davvero ragione.