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 2016  agosto 17 Mercoledì calendario

TRUMP E LA POLITICA TIRATA PER I CAPELLI

Molto è stato scritto sulla bizzarra capigliatura di Donald Trump: un riporto cotonato e ossigenato che propendiamo ad associare più al gestore di una balera che a un candidato presidenziale. Rimane ancora altro da dire in proposito? A quanto pare, il ruolo dei capelli in politica potrebbe non essere irrilevante quanto sembra.
Tanti politici hanno sfoggiato acconciature curiose – e appartengono soprattutto alla destra populista che ha fatto presa su coloro che provano rabbia e risentimento nei confronti delle raffinate élite cittadine. A Silvio Berlusconi, ad esempio, due trapianti di capelli non sono bastati a porre rimedio alla calvizie. Il demagogo olandese Geert Wilders tinge la sua vaporosa chioma mozartiana di un biondo platino. Boris Johnson, l’arruffapopolo della Brexit nonché attuale ministro degli Esteri del Regno Unito, cura meticolosamente la sua zazzera paglierina, che mantiene studiatamente scapigliata. Per non parlare del defunto Pim Fortuyn, olandese, padre del moderno populismo europeo, che di capelli non ne aveva affatto. Eppure, tra le chiome grigie e ordinate dei politici convenzionali, la sua pelata lucida e liscia spiccava quando la zazzera bionda di Johnson o il riporto dorato di Trump (a proposito: tutti questi uomini sono biondi, o finto biondi. Il capello scuro non sembra funzionare altrettanto bene).
L’obiettivo, naturalmente, è quello di distinguersi: una capigliatura particolare o una testa rasata rendono il leader immediatamente riconoscibile. Si tratta di una strategia di marketing piuttosto diffusa tra i dittatori. L’immagine di Hitler potrebbe essere ridotta a un ciuffo untuoso di capelli e un paio di baffetti a spazzola. Tra i dittatori contemporanei, quello che si contraddistingue per l’aspetto più bizzarro è probabilmente il nordcoreano Kim Jong-un, che porta i lati del capo e la nuca rasati per emulare il look adottato negli anni Trenta da suo nonno.
In alcuni casi però l’auto-parodia funziona anche nelle democrazie. Winston Churchill, che per molti aspetti è il modello a cui Johnson si ispira, faceva in modo di portare sempre con sé un grande sigaro. Anche quando non aveva alcuna intenzione di fumarlo. Quanto alla penuria di capelli non c’era molto che potesse fare, ma di certo si vestiva diversamente da chiunque altro, o quasi. Nessun altro politico britannico infatti ha mai indossato, nemmeno in tempo di guerra, quella tuta da lavoro chiusa sino al collo con una lampo.
Una studiata disinvoltura o un’eccentricità coltivata erano gli indizi caratteristici che contraddistinguevano il tipico aristocratico, colui che non provava alcun desiderio di conformarsi ai noiosi standard di presentabilità del ceto medio. Churchill aveva capito qualcosa che a molti politici tradizionali invece era sfuggito: per toccare il cuore delle masse non occorre fingersi come loro, anzi. Se appartieni all’alta società devi fare in modo che ciò appaia evidente; ti devi trasformare nella caricatura stessa dell’uomo nato bene – come un aristocratico all’antica, che guarda dall’alto in basso i borghesi schivi ma fila d’amore e d’accordo con il proprio guardacaccia. Boris Johnson non è un aristocratico, ma ha studiato a Eton e potrebbe facilmente passare per nobile. Capacità, questa, che egli sfrutta con grande efficacia.
Negli Stati Uniti, dove non esiste un’aristocrazia vera e propria, lo stato sociale è determinato soprattutto dal denaro. Uno dei segreti della popolarità di Trump sta nel modo in cui egli ostenta la sua enorme ricchezza. Ingigantendola addirittura, se necessario. Le assurde sedie dorate che si scorgono nelle sue dimore, arredate in un approssimativo stile Luigi XIV, sono una grossolana imitazione dello stile aristocratico. Pim Fortuyn (in Olanda, e su una scala ben più modesta) e Berlusconi (in Italia, e con maggior sfarzo) avevano gusti analoghi – e coloro che sognavano di possedere oggetti simili li ammiravano per questo. La chiave del populismo di successo sta nell’offrire sogni a chi ha poco.
Il fatto è che questi politici non sono come i loro colleghi più tradizionali, che appaiono scontati e banali. Pur essendo addentro alla politica si fingono outsider pronti a lottare contro l’establishment a fianco dell’uomo comune. L’eccentricità – che si manifesti attraverso bizzarri manierismi da riccone, battute scandalose, una volgarità deliberata, uno stile di vita improntato all’ostentazione o capigliature improbabili – rappresenta un punto a proprio favore. Non so se le persone, che a ragione vedono in Trump un grande pericolo per gli Usa e per il mondo, se ne rendono sufficientemente conto.
Si è molto parlato della contrapposizione tra i toni ragionevoli e moderati che hanno caratterizzato la Convention del Partito democratico e la magniloquenza tetra e ringhiosa di quella repubblicana. Rispetto al manierismo facciale e all’aggressività verbale di Trump (che ricordavano Mussolini), il presidente Obama, il vice presidente Biden e la candidata Hillary Clinton sono apparsi come l’immagine stessa della compostezza.
I sostenitori di Hillary Clinton tendono ad attaccare Trump ridicolizzandolo. Lo stesso metodo a cui Voltaire fece ricorso per opporsi ai dogmi della Chiesa cattolica. Il ridicolo può essere un’arma efficace: negli Stati Uniti degli anni Venti, giornalisti come H. L. Mencken fecero apparire i fondamentalisti cristiani talmente ridicoli da sparire per generazioni dalla scena politica.
Le sbruffonate folli e offensive di Trump, i suoi gusti volgari e il suo look sopra le righe si prestano egregiamente alla satira, e comici come Jon Stewart ne hanno fatto l’obiettivo delle loro battute impietose. Tuttavia, l’impiego della satira e del ridicolo non basteranno a far cambiare idea a coloro che amano Trump proprio in virtù della sua stranezza, che lo rende diverso dai politici del detestato establishment.
Il carisma non impone moderazione nelle parole, né sobrietà nell’aspetto e nei modi. Più Trump appare strano, più i suoi sostenitori lo apprezzeranno. Più quell’arguto comico newyorkese lo prende in giro, e più essi si stringeranno attorno a lui.
Ecco la grande perversione di questa nostra epoca di populismo rabbioso: le argomentazioni ragionevoli e l’ottimismo politico possono essere trasformati in caratteristiche negative, nel tratto distintivo di un’élite auto-compiaciuta che trascura gli interessi di chi si sente perdente.
La ragionevolezza delle argomentazioni non è bastata a convincere il 51,9 percento degli elettori britannici a rimanere nell’Unione Europea, e potrebbe non bastare ad impedire che un pagliaccio ignorante e pericoloso diventi presidente degli Stati Uniti. Malgrado quella capigliatura.
(Traduzione di Marzia Porta)
Ian Buruma, la Repubblica 17/8/2016