Luciano Cerasa, il Fatto Quotidiano 17/8/2016, 17 agosto 2016
EVASIONE, LA FINANZA DI TOSCHI HA TROVATO I COLPEVOLI: I VU CUMPRÀ
I due pesi massimi nella lotta all’evasione fiscale del governo Renzi non riescono a mettersi d’accordo. Per il direttore dell’agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi “il male all’origine di tutti i problemi del sistema fiscale italiano” è l’Iva non versata ogni anno, che pare non si riesca proprio a recuperare. Per il Comandante della Guardia di Finanza fresco di nomina, Giorgio Toschi, i veri evasori sono invece i “vu cumpra”, contro i quali ha scatenato una vera e propria campagna d’estate.
“Il messaggio è chiaro – spiega un portavoce delle Fiamme gialle al Fatto – l’attività del Corpo si concentra, con una lotta senza quartiere, sui venditori e gli ambulanti abusivi, sugli evasori totali, sui truffatori e frodatori di risorse pubbliche, su chi sfrutta i lavoratori con il caporalato e il lavoro nero a danno delle imprese sane e rispettose delle regole”. I commercianti plaudono unanimi al pugno duro annunciato da Toschi e guardano con un sospiro di sollievo all’allentamento della pressione dei controlli della Gdf su registratori di cassa e scontrini che però, visti i dati sull’evasione dell’Iva, non dovevano essere particolarmente asfissianti.
L’impiego di uomini e mezzi deve essere stato imponente. Il generale Toschi era atteso alla sua prima uscita da comandante generale anche per diradare il sospetto di comportamenti troppo disinvolti per il capo della polizia tributaria, come quelli descritti nell’indagine per concussione in cui era incappato quando era alla guida della Finanza pisana, poi archiviata. I dati diffusi dalla Guardia di Finanza parlano chiaro: dall’inizio di luglio Sono già 13 milioni i prodotti contraffatti o insicuri sequestrati nel corso di oltre 2mila interventi, che hanno permesso di denunciare circa mille responsabili e scoprire 16 strutture, fra opifici industriali e depositi “utilizzati per la produzione e lo stoccaggio delle merci irregolari”. “Tutto fumo, è solo un gigantesco movimento di carta che non porterà un euro alle casse dello Stato”, scuote la testa un alto dirigente dell’Agenzia delle Entrate spedito ad altri incarichi con l’avvento dei rottamatori renziani. “Per il semplice motivo – sorride amaro l’ex 007 – che i venditori ambulanti e le organizzazioni criminali che li manovrano non pagheranno mai un euro d’imposte e di sanzioni evase, ma fanno molto comodo per gonfiare con poco sforzo le statistiche a uso e consumo di giornali e Tg”. Nel conto degli “evasori totali” della Gdf entra anche il keniota al quale hanno sequestrato le borse di Prada taroccate sul lungomare di Alba Adriatica e il senegalese che vende collanine davanti San Pietro.
Eppure di partite Iva da controllare ce ne sarebbero. In Italia sono 5 milioni, ma l’Agenzia delle Entrate e le Fiamme gialle, alle quali spetta l’onere del maggior numero di accentramenti da effettuare sul territorio, non riescono ad andare oltre le 300mila verifiche l’anno. L’evasore può dormire sonni tranquilli. La Corte dei Conti ha calcolato che a questo ritmo un medico può aspettarsi un controllo fiscale ogni 92 anni. Allora perché pagare se l’attività di deterrenza è così blanda? Lo ammette sconsolata anche Orlandi. E i numeri che ha snocciolato in un convegno a porte chiuse di qualche settimana fa suonano come una resa. “Gli ultimi conti sul tax gap, la differenza tra gettito atteso dall’Iva e effettivamente versato, parlano di 40 miliardi evasi – riferisce il direttore delle Entrate – la legge non consente una riscossione efficace, gli strumenti sono insufficienti e il risultato è che una volta monetizzata e incassata dalle imprese riscuotere l’Iva diventa impossibile”.
Il numero uno delle Entrate ha pensato allora di fare anche lei buon viso a cattivo gioco: non ci mettono a disposizione le risorse per fare i controlli? Allora trasferiamo quello che abbiamo dalla deterrenza alla prevenzione, suona bene. Gli italiani, nonostante la cattiva nomea di nascondere la maggiore concentrazione di evasori d’Europa, sono brava gente. Per stanarli basta una letterina. Come ci spiega la stessa Orlandi all’indomani della diffusione di una relazione della Corte dei Conti, che segnala nell’ultimo anno un crollo del 16% rispetto al 2012 dei controlli effettuati dall’Agenzia, soprattutto sulle imprese che fatturano di più. “Abbiamo spedito 300mila garbate comunicazioni ai contribuenti e i due terzi si sono adeguati, questa è la mia scommessa, è un percorso che è iniziato” esulta ispirata la Orlandi. Basta con i controlli in azienda e con le spiacevoli cartelle esattoriali, fatte in automatico o in fretta e furia solo per centrare le soglie dei premi di produzione dei funzionari dell’erario. E che diventano anch’esse spesso una montagna di carta straccia. I contenziosi pendenti davanti alle commissioni tributarie, sono ben 530.844, per un valore di 50,9 miliardi di euro.
L’Agenzia delle Entrate perde in 4 casi su dieci. Nel 2015 hanno fatto ricorso contro le richieste di pagamento dello Stato e degli enti locali in 188mila e sono state definite 244mila cause. Il saldo nel complesso è positivo, anche se a questo ritmo per smaltire l’arretrato ci vorrebbero dieci anni. Ma in molti dei 102 tribunali del fisco provinciali i ricorsi presentati superano abbondantemente quelli definiti. Ad arrancare sono soprattutto le dieci sedi con il maggior numero di contenziosi pendenti in primo grado (64,47%) che affondano per mancanza di organizzazione e di personale. A ciascuna sezione sono assegnati un presidente, un vicepresidente e non meno di quattro giudici tributari ai quali il ministero dell’Economi affianca il personale di segreteria. Alla debolezza che spesso accompagna la pretesa tributaria e alla carenza di strutture si aggiunge anche uno stuolo di consulenti e di avvocati, interessati a prolungare il contenzioso all’infinito.
Luciano Cerasa, il Fatto Quotidiano 17/8/2016