Giuliana Rotondi, Focus 9/2016, 17 agosto 2016
STIAMO ZITTI CHE È MEGLIO
Due amici si incontrano al bar e chiacchierando uno dice: “Ho visto la tua ragazza con Carlo l’altra sera: quindi vi siete definitivamente lasciati....”. Niente di strano, se non fosse che: A) i due non si sono lasciati; B) il fidanzato nemmeno sapeva dell’uscita della sua ragazza con il Carlo di cui sopra. La notizia giunge insomma come un fulmine a ciel sereno e lascia tutti in grandissimo imbarazzo. «Questo è un classico esempio di gaffe rivelativa: la peggiore», spiega il professor Paolo Legrenzi, docente di psicologia cognitiva all’Università di Venezia. «Chi parla non ha alcuna intenzione di ferire il suo interlocutore, però lo fa. Perché dà per scontato che l’informazione in suo possesso sia conosciuta da tutti. Ma soprattutto parla senza pensare alle conseguenze delle sue frasi». Del resto l’area dei sentimenti e dei rapporti di coppia è un vero terreno minato per chi non sa tenere a freno la lingua. Lo hanno anche dimostrato in uno studio ad hoc all’Università della Florida: il divorzio è uno dei principali argomenti che espone al rischio figuracce. Insomma, i modi per ferire qualcuno anche senza volerlo sono veramente infiniti. E l’unica cosa che si può fare è attenersi alla regola d’oro: mai dare informazioni sensibili, se non sono richieste, e mai farsi prendere la mano da uno spontaneismo fanciullesco. Anche se poi dobbiamo fare i conti con un’altra categoria di gaffeur: quelli che ragionano per stereotipi.
LUOGHI COMUNI. Per molte persone il mondo è quello codificato dalle consuetudini. Non concepiscono le eccezioni. Le coppie sono composte quindi da un uomo e una donna, più o meno coetanei, che fanno figli in giovane età. Un signore con i capelli bianchi che spinge un’altalena al parco giochi può essere solo un nonno. E troveranno l’occasione per farglielo sapere: magari facendo i complimenti alla sua nipotina. Allo stesso modo un vecchio amico che cammina in compagnia di una ragazza più giovane, non può che passeggiare con la figlia. E il gaffeur proverà quindi a cercare le somiglianze tra i due, dicendo frasi del tipo: “Avete proprio lo stesso sguardo!”. Rimedi? Se gli impulsivi devono contare fino a dieci prima di aprire la bocca, chi ragiona per luoghi comuni deve sforzarsi di decostruire i suoi schemi mentali. Ancora di più se ha in programma un viaggio all’estero. In ogni Paese infatti ci sono regole sociali e culturali diverse. Negli Stati Uniti è normale chiedere a un estraneo quanto guadagna. La stessa domanda rivolta a un italiano è nel migliore dei casi un’intemperanza, nel peggiore l’assist per una rispostaccia. Allo stesso modo in Africa è naturale domandare a un estraneo perché non è ancora sposato. Da noi è indelicato. L’Università di Venezia ha stilato una mappa consultabile in Rete (mappainterculturale.it), dove sono indicizzate voci differenti suddivise per Paese. Si può capire così come anche a un’ora sola di volo da noi cambino molte cose: temi sensibili, pregiudizi, linguaggi verbali e non verbali, valori.
MEMORIA PICCOLA, EGO GRANDE. Se le gaffe del viaggiatore si possono ridurre con un po’ di attenzione, per quelle tipiche degli smemorati si può fare davvero poco. Potremmo definire quest’ultima categoria “gaffeur a loro insaputa”. Sono tutti coloro che hanno le informazioni, ma temporaneamente le dimenticano. O meglio, in quel momento il loro cervello le rimuove. Un esempio: un uomo incontra un vecchio collega che guida abitualmente un Suv. In quel momento però dimentica questa informazione e si lascia andare a un’invettiva sociale su quanto siano inquinanti quegli “enormi macchinoni” e “spocchiosi i tizi che li guidano”. «Questo tipo di gaffe è fatta solitamente dagli egocentrici. Individui che faticano a mettersi nei panni degli altri; e quando parlano seguono un ragionamento autoreferenziale che non tiene conto dell’interlocutore».
Gli esempi possono essere molti. Si va dalla sbadataggine di chi dice “chiudi un occhio e metti a fuoco” a chi ha già un occhio solo, all’indelicato “hai visto come è ingrassata Giovanna”, detto a una vicina con seri problemi di peso.
IL SILENZIO È D’ORO. A volte le gaffe si fanno anche solo per pura e semplice sbadataggine. E in questo caso può incapparci chiunque. Basti pensare all’imperdonabile (e non priva di conseguenze legali) gaffe dell’Università di Oxford di un paio di anni fa: la segretaria dell’ateneo inviò, involontariamente, a tutti gli studenti una mail con la classifica dei 50 peggiori classificati del trimestre, con un danno di immagine incalcolabile per i malcapitati (Oxford è molto selettiva) e per l’ateneo stesso (è un disonore avere pessimi studenti). Se “incidenti” simili difficilmente si possono prevenire, negli altri casi forse potrebbe bastare attenersi a una regola, tutta britannica, che suggerisce: “never complain, never explain”, ovvero non protestare, non spiegare. Un mantra per diplomatici e uomini di rappresentanza. Ma anche un buon consiglio per chi si trova a muovere i suoi primi passi in contesti che conosce poco.
«Chi protesta o si lamenta e dice la sua in scenari poco noti è più facile che commetta gaffe», spiega Legrenzi. «La cosa migliore da fare è quindi parlare il meno possibile. Osservare, informarsi, studiare la situazione e solo quando si è certi di averla capita, con cautela, si può iniziare a lasciarsi andare. Senza esagerare». La regola vale anche quando si parla di argomenti su cui si è poco ferrati. Se si discute di arte e l’ultima mostra la si è vista durante la gita del liceo, è buona regola tacere con chi invece ne sa parecchio. Il rischio è fare come un tale che preso dalle lunghe fatiche organizzative di una mostra su Andy Warhol, sentenziò in consiglio comunale: “Su, datemi il telefono di questo Andy che gli parlo io”.
SE LA FRITTATA È FATTA. E quando il danno è fatto? «La cosa da non fare è cercare di riparare goffamente alla brutta figura. Molto meglio far finta di niente, sorvolare. Ancora di più se abbiamo appena fatto una “gaffe rivelativa”: in quel caso infatti il nostro interlocutore è anche ferito. Meglio quindi tagliar corto con un sobrio “Scusa!” e cambiare discorso», precisa Legrenzi.
Lo stesso conferma una ricerca della Duke University negli Stati Uniti che ha mostrato che, in caso di gaffe, è meglio seguire tre regole: chiedere scusa senza attribuire responsabilità ad altri; offrirsi di risarcire un eventuale danno materiale (mentre un “Mi dispiace non volevo ferirti” è la risposta migliore se si è urtata la sensibilità di una persona) e, terza regola, alleggerire la tensione facendo una battuta. Quando invece siamo noi stessi gli artefici e le vittime della figuraccia il discorso cambia. Così almeno ha rivelato un’altra ricerca, questa volta della Vrije Universiteit di Amsterdam e della Cardiff University (Galles): in un esperimento hanno mostrato un filmato in cui un uomo urta, senza volerlo, un espositore di carta igienica di un supermercato, rovesciandolo a terra. Il film aveva diversi possibili finali. In uno l’uomo rimetteva tutto a posto con tranquillità, risultando così maturo e responsabile. Ma la preferenza è andata al finale in cui si mostrava imbarazzato, pur rimettendo a posto l’espositore. La ragione è stata spiegata con il fatto che l’imbarazzo fa trapelare il nostro lato più fragile e “umano”, suscitando comprensione ed empatia. E, se abbinato a un buon autocontrollo, è anche un ottimo antidoto contro clamorose gaffe.
Giuliana Rotondi