Marshall Pruett, Quattroruote 8/2016, 17 agosto 2016
QUANDO SCIENTOLOGY SCESE IN PISTA
Pochi, forse, lo ricordano, ma c’è stato un tempo in cui Dianetics, la “metodologia in grado di aiutare e alleviare le sensazioni e le emozioni indesiderate”, elaborata da L. Ron Hubbard, il fondatore della religione chiamata Scientology, è stata una presenza curiosa nel mondo delle corse americane. Chi è cresciuto negli Usa a metà degli anni 80, infatti, ricorderà come le dirette delle gare di Cart e IndyCar Series e della Imsa GTP, trasmesse dalle televisioni via cavo, erano inframmezzate da mezze dozzine di spot di Dianetics e del libro di Hubbard. Il motorsport, del resto, era un mezzo di comunicazione formidabile per arrivare al grande pubblico e il passo successivo, per la chiesa di Scientology, fu quello di decidere di sponsorizzare direttamente qualcuna delle auto in gara.
CRISI DI COSCIENZA
La scelta cadde inizialmente sull’Imsa GTP, dove correvano Nissan e Jaguar assieme a qualche prototipo europeo del Gruppo C, come la Porsche 962 del team tedesco dei fratelli Kremer. Questi ultimi, alla ricerca di piloti di grido, avevano ingaggiato nientemeno che Mario Andretti, vincitore a Indianapolis nel ’69 e campione del mondo di F.l nel 78, e suo figlio Michael. Tutto sembrava mettersi per il meglio in vista della gara di Tampa, in Florida, dell’88. Ma quando il grande Mario vide i loghi Dianetics sulla carrozzeria della vettura che si accingeva a portare in gara, sobbalzò: la cosa era troppo in contrasto con la sua fede cattolica, al punto da indurlo a rifiutarsi di scendere in pista. «I fratelli Kramer mi dicevano che si trattava di un sacco di soldi», avrebbe poi raccontato Andretti, «ma io risposi che non capivano, che non avremmo proprio guidato la macchina, che saremmo stati scomunicati dal Papa, se lo avessimo fatto».
La soluzione arrivò con un compromesso: tolti gli adesivi di Dianetics, sulla vettura comparve il logo della Bridge Publications. Ovvero, della casa editrice che pubblicava il libro di Hubbard e che era stata fondata dalla stessa Scientology... Bastava, comunque, per tacitare le coscienze degli Andretti, che disputarono la corsa, arrivando sesti al traguardo.
Ma la vicenda non finì lì: altri piloti, infatti, non si sarebbero fatti gli stessi scrupoli nell’accettare il denaro di questa chiesa. Fu il caso di Roberto Guerrero, driver colombiano che aveva disputato un paio di stagioni in F.1 con l’Ensign e la Theodore, senza ottenere grandi risultati, prima di dedicarsi alle gare IndyCar.
A partire dalla seconda corsa del 1988, disputata a Long Beach, la sua LolaCosworth, gestita dalla Granatelli Racing, scese in pista con i loghi di Dianetics. «Entrai in contatto con la Bridge Publications tramite i miei amici attori John Travolta e Kirstie Alley», racconta Vince Granatelli, «ma in realtà, all’epoca, non sapevo molto di Scientology».
PRESENZA INVADENTE
Il manager ricorda anche come la sponsorizzazione fosse inizialmente destinata alla squadra di Roger Penske, che la rifiutò per le pressioni della moglie, decisamente contraria: così l’accordo con la sua squadra andò in porto per tre gare, quelle di Long Beach, Indianapolis e Milwaukee.
Ma la fortuna non fu dalla parte di Guerrero: a Indy, la sua gara durò 16 secondi, finché un altro pilota finito in testacoda lo mandò a sbattere contro un muro. Nel Wisconsin, le cose andarono anche peggio: durante le prove, il colombiano perse il controllo della macchina, urtò contro le protezioni, venne portato via in ambulanza e dovette rinunciare a correre. La serie d’incidenti mise fine al rapporto tra il team e Dianetics: Granatelli e Guerrero si resero conto che la presenza degli adepti (50-60 persone, con fiori recapitati al pilota in ospedale) era troppo invadente. Lo spirito di proselitismo dei seguaci di Hubbard era eccessivo anche per il team manager, che preferì rinunciare a quella che lui stesso oggi definisce «una montagna di soldi»: l’equivalente odierno di un milione di dollari a gara, quando il budget attuale, per la maggior parte dei team, è di 370 mila dollari a corsa.
Marshall Pruett