
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Le statue dei giudici Borsellino e Falcone, abbattute l’altra notte, sono state restaurate e rimesse al loro posto, in Palermo, via della Libertà. Ieri mattina c’è stato anche un piccolo corteo: meno di cento persone hanno sfilato tenendo in mano un’agenda rossa e cantando Bella ciao. Sono andate da via D’Amelio al castello Utveggio. A via D’Amelio stava la mamma di Borsellino: il giudice era andato a trovarla quella domenica pomeriggio (19 luglio 1992), e al suo passaggio una Fiat 126 imbottita di cento chili di tritolo era esplosa dilaniando il magistrato e i sei agenti della scorta (uno solo dei quali sopravvisse). Il detonatore dovrebbe essere stato azionato proprio dal castello Utveggio dove c’era anche una sede del Sisde. Due mesi prima era stato ammazzato il giudice Falcone.
• Il 19 luglio è oggi.
Sì, sono passati 18 anni. La verità sulla morte di Borsellino, apparentamente accertata alla fine di due processi, è stata rimessa in discussione. Nella prima ricostruzione dell’attentato a rubare la 126, imbottirla di tritolo e portarla in via D’Amelio sarebbero stati tre mafiosi di piccolo calibro, Salvatore Candura, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino. Ora c’è una nuova verità, a quanto pare sostenuta da riscontri incontrovertibili. L’uomo della 126 è Gaspare Spatuzza, che si è accusato e ha fornito le prove di quanto andava dicendo. Lei ricorderà che esiste una tesi, a cui hanno mostrato di credere, per esempio, Pietro Grasso e Antonio Ingroia, secondo cui in quel momento era in corso una trattativa tra la mafia e lo Stato per arrivare a un accordo o a una tregua. Borsellino sarebbe stato ucciso perché contrario a un simile accordo. Frutto dell’accordo sarebbe stata la nascita di Forza Italia.
• Prove?
Nessuna e, quando c’è stata la possibilità di certificarla in qualche modo in tribunale i giudici si sono tirati indietro. Il supporto più importante a questa ricostruzione storica, che – ripeto – non ha riscontri nelle sentenze, è venuto dalla relazione di Giuseppe Pisanu, un uomo di centro-destra, che lo scorso 30 giugno, alla Commissione bicamerale antimafia, ha detto: «È ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica». La mafia era ansiosa di trattare anche, a causa di Tangentopoli, le erano venuti meno tutti i riferimenti politici.
• Anche Pisanu pensa che da quella trattativa nacque Forza Italia?
No, Pisanu questo non lo dice. Il giornalista Maurizio Torrealta, in una riedizione aggiornata e appena uscita di un suo vecchio libro, (La trattativa, Rizzoli) mette in fila tutti i tasselli che suffragano la tesi dell’accordo. La mafia discuteva a suon di stragi. Ce ne furono, in quel periodo, nove.
• Se non c’è una verità accertata in tribunale, come si fa a insistere su questa tesi?
Borsellino, nel 1989, andò a parlare all’Istituto tecnico professionale di Bassano del Grappa. Disse tra l’altro: «L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però siccome dalle indagini sono emersi altri fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica».
• Perché i manifestanti, ieri e anche l’altro giorno, agitavano delle agendine rosse?
Era rossa l’agenda su cui Borsellino teneva il diario delle sue indagini e dei suoi interrogatori. Non fu mai trovata. Un testimone sostiene che a prelevarla dalla 126 distrutta e portarla via sia stato un ufficiale dei carabinieri. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 19/7/2010]
(leggi)