Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 19/07/2010, 19 luglio 2010
A FASHODA, FRA CONGO E NILO DUELLO FRANCO-BRITANNICO
Potrebbe darci informazioni sul «complesso di Fashoda»? Dovrebbe essere un piccolo villaggio di pescatori del Sudan dove si incrociavano in modo immaginario le linee di penetrazione coloniali di Francia, (che pretendeva di avere una linea orizzontale di possedimenti africani francofoni che andasse dalla Costa d’Avorio a Gibuti) e dell’Inghilterra (che pretendeva di avere una linea perpendicolare di possedimenti anglofoni africani che andasse dall’Egitto al Sud Africa). Il progetto francese, sconfitto dagli inglesi, lasciò una ferita dolorosa, sempre mal gestita negli ambienti del Quai d’Orsay. Quando la Francia ai tempi di Mitterrand e in alcuni casi ancora oggi invia i suoi parà nello spazio globale della Francofonia, inconsciamente fece e fa ancora riferimento a queste teorie del XIX secolo?
Gabriele Peschiera
Gabriele.Peschiera@alice.it
Caro Peschiera, Fashoda fu il piccolo palcoscenico africano su cui si scontrarono per qualche giorno due grandi personalità del colonialismo europeo: il maggiore francese Jean-Baptiste Marchand e il generale britannico Horatio Herbert Kitchener. Il primo era un esploratore entusiasta che predicava ai suoi connazionali, da qualche anno, la necessità di piantare il tricolore francese sulle terre che collegano il bacino del Congo e il bacino del Nilo. Il secondo era il generale britannico che aveva appena sconfitto i dervisci a Omdurman e avrebbe comandato le truppe del Regno Unito agli inizi della Grande guerra. Il primo era giunto a Fashoda con una carovana composta da qualche ufficiale e sottufficiale, un medico, un pittore di paesaggi, centocinquanta soldati indigeni e una considerevole quantità di stoffe, monili, vettovaglie e vino di Bordeaux per convincere i capi delle tribù locali a firmare atti di concessione e trattati di fedeltà. Il secondo aveva alle proprie spalle un esercito ed era deciso a disegnare sulla carta geografica una lunga striscia arancione (il colore dell’Impero britannico negli Atlanti di allora) dalle coste mediterranee dell’Egitto a quelle del capo di Buona Speranza. S’incontrarono a Fashoda perché il villaggio era una sorta di crocevia per le carovane di Gibuti e quelle dell’Egitto. E si guardarono in cagnesco fino al giorno in cui il governo francese, per evitare il conflitto, dette ordine a Marchand di ritirarsi.
Può darsi che vi sia ancora, in un angolo della coscienza nazionale francese, un po’ di rabbia e rimpianto per l’occasione perduta. Ma Francia e Gran Bretagna si accordarono dopo Fashoda per la spartizione dell’Africa centrale e la Francia uscì dalla partita con un considerevole bottino. Non è tutto. Dopo avere risolto il loro contenzioso africano, i due Paesi scoprirono che potevano andare d’accordo e conclusero qualche anno dopo una «Intesa cordiale». Se nel 1914 combatterono insieme contro la Germania lo si deve in gran parte a Fashoda.
Aggiungo, caro Peschiera, che i litigi e i bisticci fra le potenze europee in Africa furono frequenti, ma quasi sempre conclusi con un compromesso. I veri interessi, quelli per cui valeva di pena di farsi la guerra (se necessario anche in Africa), erano in Europa e nel Mediterraneo. Non vi sarebbe mai stato un conflitto anglo-italiano per l’Africa Orientale se Mussolini non avesse dichiarato guerra alla Gran Bretagna nel giugno del 1940.
Sergio Romano